Questa pagina doveva essere interamente occupata da un’intervista che Sergio Cofferati aveva concesso ad «area», per spiegare ai lettori di questo giornale le ragioni della più grande manifestazione sindacale della storia d’Italia, in preparazione dello sciopero generale contro le politiche economiche e sociali del governo Berlusconi. Mentre battevamo sulla tastiera del computer le nostre domande e le risposte del segretario generale della Cgil, le agenzie hanno mandato in rete le prime notizie sull’assassinio dell’economista bolognese Marco Biagi. Biagi era collaboratore stretto del ministro del lavoro Roberto Maroni e coautore delle leggi delega, proprio quelle contro cui si stanno battendo i sindacati italiani; deleghe la cui punta dell’iceberg è la sospensione per quattro anni dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che mette un freno allo strapotere padronale ordinando il reintegro dei lavoratori licenziati ingiustamente – senza giusta causa, come si dice in termini tecnici. Illazioni pericolose Il secondo giro di agenzie ha battuto le prime reazioni all’attacco criminale, che secondo gli inquirenti sarebbe stato eseguito da terroristi, «rossi», aggiungono naturalmente i carabinieri: autorevoli esponenti del governo Berlusconi arrivano a dire che c’è un legame, un nesso diretto tra la battaglia della Cgil, la manifestazione di sabato e l’omicidio del professore bolognese, lo stesso Berlusconi inserisce l’assassinio nel clima esasperato provocato dai toni troppo alti del conflitto sindacale sull’articolo 18. Insomma, siamo di nuovo alla cronaca di una morte annunciata, l’ultimo atto in ordine di tempo della tragedia all’italiana, quella delle bombe, degli attentati, dei servizi segreti, del terrorismo, dell’uso del crimine e della provocazione contro le battaglie politiche del movimento operaio e democratico. Prima la bombetta davanti al ministero degli interni, poi la pubblicazione pochi giorni fa sul settimanale Panorama di una nota dei servizi che annunciava quasi nei dettagli quel che sarebbe accaduto. E ora il morto. Un morto cercato, in ogni caso non si è fatto molto per salvare la vita di Biagi, servitore dello stato in consonanza con un governo che non gli aveva garantito neppure una scorta. Biagi ammazzato come D’Antona, anch’egli impegnato alla riforma del mercato del lavoro per un altro governo, quello di centrosinistra. Ammazzato come Tarantelli, anch’egli economista e impegnato sugli stessi temi. «L’assassinio di Marco Biagi è un ulteriore atto di barbarie. È frutto di un terrorismo non debellato che punta ad alterare le regole della democrazia e della dialettica sociale, colpendo persone che lavorano per lo stato». Così dice a caldo Sergio Cofferati, e ci chiede di sospendere un’intervista che in questo clima torbido di caccia alle streghe potrebbe essere utilizzata contro di lui, la Cgil e l’insieme del movimento sindacale. È un atto di responsabilità, quello del segretario del più importante sindacato italiano, a cui aderiamo con convinzione. Nella notte di martedì, poche ore dopo l’attentato si è riunita la segreteria della Cgil e subito dopo le segreterie delle tre confederazioni sindacali, che hanno denunciato l’agguato criminale di Bologna e convocato unitariamente due ore di sciopero generale contro il terrorismo, quattro nel capoluogo emiliano. Il peso dell’omicidio Mentre scriviamo, è mercoledì mattina, la Cgil sta decidendo se confermare l’appuntamento di sabato a Roma – tra uno e due milioni di lavoratori e cittadini provenienti da ogni città, paese e villaggio d’Italia per una manifestazione in difesa dei diritti di tutti, lavoratori e disoccupati, pensionati e immigrati, studenti e figli precari di una flessibilità che per Berlusconi non è ancora abbastanza selvaggia. In ogni caso, l’omicidio di Biagi peserà e cambierà il segno della protesta. Annullare la manifestazione, invece, avrebbe un segno regressivo, quasi un segnale di sconfitta di fronte agli attacchi terroristici e alle provocazioni di ogni natura contro il naturale conflitto sociale e politico. Contemporaneamente, Cgil, Cisl e Uil decideranno se confermare e fissare la data di uno sciopero generale che all’inizio era stato indetto dalla sola confederazione di Cofferati, finché la linea feroce e padronale del governo («mai visto in cinquant’annni un tale collateralismo alla Confindustria», dice Cofferati) ha costretto anche Cisl e Uil rompere una trattativa-farsa e a riprendere un confronto sindacale unitario con la Cgil. Consenso in crescita attorno alla lotta Con Cofferati avevamo parlato delle ragioni della Cgil e dello straordinario consenso cresciuto intorno agli appuntamenti di lotta, oltre che tra i lavoratori nella società civile, tra gli studenti, i giovani e le organizzazioni del Social forum, nel popolo dei migranti «che sono tra i soggetti più penalizzati dalla politica del governo, a partire dalla legge Bossi-Fini», raccontava Cofferati ai lettori di «area». Su un punto il segretario della Cgil è chiarissimo: «in gioco sono i diritti di tutti. Prima si attaccano quelli delle persone che lavorano. Ma anche chi è fuori dal mondo del lavoro capisce che se Berlusconi passa contro i diritti dei lavoratori, poi saranno attaccati i diritti individuali e di cittadinanza. Per noi – aggiunge Cofferati – i diritti sono inscindibili. La battaglia in difesa dell’articolo 18 è diventata simbolica, il consenso sulle nostre iniziative si spiega proprio con la consapevolezza sempre più diffusa che se salta questo diritto di civiltà, se agli imprenditori viene concessa mano libera e diritto incontestabile di licenziare, a cascata finiranno per saltare tutti i diritti». Sono ragioni, queste, che nessun attentato terroristico di qualsiasi colore e nessuna provocazione antisindacale potranno rimettere in discussione. Cofferati non si stanca di smontare le accuse indecenti di Berlusconi, secondo cui il sindacato chiamerebbe i padri a scioperare contro i figli, battendosi contro una deregulation del mercato del lavoro che consentirebbe ai giovani di accedere al lavoro. «Ci accusano di far scioperare i padri contro i figli. È vero il contrario, noi chiamiamo alla lotta i padri che hanno un lavoro perché ai figli vengano garantiti gli stessi diritti, le stesse protezioni sociali e previdenziali, al nord come al sud». Lavoro: i punti del conflitto Sono cinque i punti di conflitto della Cgil con il governo, ce li ricorda ancora Sergio Cofferati: «Lo sviluppo del Mezzogiorno, la scuola, il fisco, la previdenza e il mercato del lavoro a partire dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori». Sul Mezzogiorno: secondo Cofferati, questo è il primo governo dal secondo dopoguerra che non mette al centro delle sue politiche il Sud, anzi «lo penalizza tagliando fondi agli investimenti e alla ricerca e tagliando i diritti dei lavoratori. Vai a spiegare a un giovane meridionale che il governo sta lavorando per lui, nel momento in cui lo infila nelle gabbie salariali, gli toglie l’articolo 18 e gli riduce l’insieme dei diritti». La scuola: c’è una violazione «di fatto» del mandato costituzionale, nel momento in cui «si penalizza la scuola pubblica e si dirottano le risorse pubbliche a favore delle scuole private». Il fisco: la decontribuzione, la demagogica promessa di ridurre le tasse, è ingiusta perché nasconde il taglio di fondi conseguente alle pensioni e alla sanità. Insomma, aggiunge Cofferati, è un’ulteriore violazione dell’universalità dei diritti. Del mercato del lavoro e dell’aggressione sfrontatamente liberista del governo abbiamo già detto. Cofferati nega che la battaglia della Cgil e in futuro, si spera, dell’insieme del movimento sindacale italiano, sia condotta per supplire all’assenza di un’opposizione politica . Insomma si accusa Cofferati di trasformare la Cgil in un catalizzatore per rivitalizzare la sinistra. «È totalmente falso – risponde – perché non c’è niente di più sindacale di una battaglia sul fisco, sulle pensioni, per l’universalità dei diritti, dunque contro le politiche del governo. Di queste cose una grande organizzazione sindacale deve occuparsi. Occupandocene, è ovvio che facciamo politica, ma è una sciocchezza accusarci di supplenza politica». Sono riflessioni, queste di Cofferati – ci ripetiamo – che nessuna azione criminale, nessun attentato terroristico può mettere in dubbio. È per questo che ve le proponiamo, pur rispettando l’impegno preso con il segretario della Cgil a rimandare a un momento migliore il confronto sui temi più spinosi della battaglia politica e sindacale.

Pubblicato il 

22.03.02

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