Già la scorsa estate il giudice dei provvedimenti coercitivi Ares Bernasconi aveva decretato lo sbiancamento in «assenza di segreti degni di protezione», ma il ritardo si spiega con l’insistenza del comandante della Cantonale Matteo Cocchi nel chiedere al procuratore generale Andrea Pagani di mantenere segretata la documentazione alle parti coinvolte. Una richiesta bocciata poco tempo fa, con la consegna alle parti in causa della documentazione dissigillata. Quali segreti custodissero quelle carte tanto importanti da indurre la Polizia a ostacolare per un anno l’inchiesta bis sulla demolizione del Centro sociale autogestito il Molino? Difficile rispondervi. Bisognerebbe entrare nella mente del comandante Cocchi per intuirne l’importanza. Ma lui, logicamente, non può esprimersi su inchieste penali in corso. Non ci resta che provare a indovinarli. Uno dei fatti più interessanti riguarda l’impiego di svariate decine di poliziotti da Cantoni romandi, di cui si fa la cifra esatta. La loro presenza non era sfuggita quella notte, ma ora si ha la certezza che complessivamente il numero di poliziotti in campo il 29 maggio 2021, tra Cantonale, PolComunale e rinforzi romandi, si avvicina ai trecento agenti. Cifra piuttosto insolita per gestire una manifestazione dove si prevedeva una partecipazione di due o trecento persone, come poi fu il caso. L’occupazione dell’ex stabile Vanoni da parte dei molinari sul finire del corteo è sempre stata definita “una sorpresa” da autorità politiche e ufficiali di polizia. Fu proprio quell’occupazione che consentì all’autorità politica di considerare “degenerato” il corteo dei molinari, dando così il via libera all’operazione di polizia “Papi”, ossia lo sgombero dell’ex Macello dopo aver circondato i manifestanti all’interno dell’ex Vanoni. Una duplice operazione resa possibile dall’imponente dispositivo di polizia messo in campo quel giorno. Il via libera del governo Dalle carte desecretate emerge un’altra novità. Ad autorizzare politicamente l’operazione di sgombero dell’ex Macello e il simultaneo blocco all’ex Vanoni furono il già sindaco di Lugano, il defunto Marco Borradori, e il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi. Lo riporta il giornale d’impiego della Cantonale del giorno del corteo. Alle ore 19.55 l’appunto: “Conferito con Gobbi e cmd Polca e sindaco lugano. Tutti concordano con decisione bloccare accesso Vanoni e procedere sgombero Molino”. Il benestare allo sgombero del governo cantonale è un fatto nuovo, mai emerso nella prima e seconda inchiesta. Il sostituto comandante Lorenzo Hutter aveva sempre riferito di aver interloquito unicamente con il sindaco Borradori e la municipale Karin Valenzano, i delegati dall’Esecutivo luganese nei rapporti con la Polizia cantonale. Gobbi era stato sollecitato anche sulla decisione di demolire? Allo stadio attuale dell’inchiesta, nulla lo prova. Dalle carte si sa che Gobbi fosse in contatto con lo Stato Maggiore nei giorni precedenti il corteo. Cinque giorni prima della demolizione notturna, nel corso di una riunione preparatoria della polizia, sia il comandante dell’operazione che l’agente della comunale riferiscono che parleranno loro “con il capo Dipartimento istituzioni” in relazione a un eventuale sgombero. Un’eventualità immaginata dai poliziotti nel caso si fosse presentata l’opportunità durante il corteo del 29 maggio. Dei contatti logici dato che la Polizia cantonale sottostà direttamente al Dipartimento delle istituzioni. Un concetto ribadito nei mesi precedenti dal vicecomandante a capo delle operazioni. «La polizia esegue gli ordini dell’autorità politica» aveva più volte chiarito Hutter nei colloqui con le autorità. Fin dai primi piani di sgombero allestiti a inizio marzo, lo Stato Maggiore aveva espressamente richiesto la presenza di un municipale «non al telefono ma presente! E con potere decisionale durante l’operazione di polizia». Così non sarà la notte della demolizione, quando la municipale Valenzano si limiterà a dei contatti telefonici con i poliziotti, essendo impegnata in una cena privata, mentre Borradori apparirà solo in zona Vanoni per un'intervista con la Rsi. Se non sussistono dubbi che il Municipio luganese sia stato coinvolto nella decisione di demolire quale proprietario dello stabile (solo il tetto, sostengono i diretti interessati), si affaccia ora l’ipotesi che anche il governo cantonale nella persona di Gobbi abbia potuto esserne perlomeno informato. La decisione di demolire non poteva esser presa alla leggera, tant’è che ora in veste di imputati figurano proprio il vicecomandante Hutter e la municipale Valenzano.
Leggi anche=> Giorgio Giudici: «Impensabile demolire senza l'avallo della politica» Dalle carte desecretate emergono poi curiosi scenari catastrofici prospettati dalla Polizia in reazione allo sgombero. Fuoco e fiamme si sarebbero abbattuti su Lugano nel post sgombero, allertava la Polizia i municipali luganesi. Nulla di tutto ciò si è verificato, ma strappano un sorriso alcune strategie formulate dalla Polizia. Nella riunione operativa di aprile in cui si chiedeva di “valutare alternative fantasiose” a una resistenza di lunga durata degli autogestiti, s’ipotizzava di assediare l’ex Macello “prendendoli per fame, non consentendo l’approvvigionamento”. A inizio maggio in un incontro tra Stato Maggiore e municipali, la polizia informava che i molinari avrebbero potuto usare “dell’olio bollente” per respingere l’attacco. Ipotesi che ricordano epoche medievali o contesti di guerra drammaticamente attuali quali Gaza, dove l’arma della presa per fame è stata certificata dalla Corte penale internazionale. Mentre attendeva di leggere quanto oscurato dalla Polizia, il Procuratore generale ha proseguito l’inchiesta interrogando una decina di persone, tra alti ufficiali di polizia e autorità politiche o funzionari dell’amministrazione comunale. Molti i «non ricordo» da parte dei poliziotti interrogati. La condivisione dei documenti (SharePoint), benché in uso nei sistemi informatici della Polizia, risulta essere uno strumento poco applicato. Alle domande sugli scritti condivisi in cui si citava la “demolizione degli stabili”, gli interrogati hanno più volte risposto: «Quel documento non l’ho mai visto». Dai verbali si delinea una linea comune negli interrogatori dei poliziotti. La demolizione era solo una delle ipotesi d’azione dello sgombero. Un’ipotesi che si può perlomeno definire corposa, stabilita fin dalle prime ore della costituzione dello Stato Maggiore a inizio marzo con le mail in cui si chiedeva quale stabile si potesse demolire. Un termine più volte ripetuto nelle riunioni precedenti all’effettiva demolizione. Eppure, nessuno si preoccupò di verificarne la procedura legale per attuarla o dei potenziali rischi alla salute dei presenti e abitanti confinanti data la più che probabile presenza di amianto nel vetusto stabile distrutto. «Non era un mio compito» rispondono gli agenti quando interrogati. Leggi anche=> Un'urgenza premeditata Va ricordato che la conclusione della prima inchiesta del Pg secondo cui la demolizione fu presa in urgenza dalla Polizia la notte del 29 maggio 2021 per “necessità esimente”, non fu ritenuta plausibile dalla Corte dei reclami penali, ordinando alla Procura supplementi d’inchiesta per appurare le eventuali responsabilità nella scelta di abbattere lo stabile. A quattro anni dai fatti, si avrà infine una verità giudiziaria? |