Il governo cantonale in corpore ha presentato lo scorso 10 dicembre il rapporto conclusivo «Lavoratori frontalieri, fornitori di prestazioni indipendenti esteri e lavoratori distaccati in Ticino». Dal rapporto, il Consiglio di Stato elenca 62 misure, suddivise tra attuabili a livello cantonale, a livello federale e infine alcune bocciate. Poiché questo giornale è finanziato da chi vende la propria forza lavoro al padronato, diventa centrale comprendere se l’obiettivo dell’insieme delle misure governative tutela i suoi interessi, cioè il salario e le condizioni di lavoro le migliori possibili. Una prima risposta arriva dallo stesso governo, quando indica l’obiettivo principale del rapporto «fare chiarezza sulle questioni fiscali dei salari percepiti dai frontalieri». Stando al governo dunque, devono essere penalizzati i frontalieri e non il padronato che li assume per pagare meno la forza lavoro, trascinando nella spirale verso il basso l’intera classe salariata residente in Ticino. Per una valutazione complessiva, area ha chiesto a Enrico Borelli, segretario di Unia Ticino, la valutazione del sindacato sul documento elaborato dal governo. «Sul piano generale – spiega il sindacalista – riconosciamo al governo, e in particolare al Dipartimento delle finanze e economia, un impegno e una sensibilità sul tema che non si riscontra in altri cantoni e nemmeno nel passato cantonale. È dunque una base di partenza. Nel documento sono contenute una serie di misure tecniche, alcune delle quali certamente condivisibili per noi. Faccio riferimento al potenziamento dell’impianto dei controlli, che naturalmente condividiamo, pur ravvisando dei limiti nel documento governativo. Oggi siamo sempre più confrontati con un salto di qualità nell’elusione delle norme, un campo in cui i soggetti dimostrano una mente criminale sofisticata. Lo fanno falsificando i documenti o con tutta una serie di artifici che ai controlli normali diventa difficile intercettare. Per questo avevamo chiesto l’istituzione di una sezione del lavoro nella procura cantonale, affinché ci fossero i mezzi giudiziari per contrastarla. Ci è stato risposto picche. Il secondo asse su cui vertono le misure governative mira a punire fiscalmente il frontaliere. Dimostra l’impostazione di fondo del documento governativo, tesa a difendere più il padronato che il lavoratore. Non ha senso colpevolizzare o punire il frontaliere, già di per sé ricattabile sul posto di lavoro, invece di colpire la ditta che trae profitto speculando sui bassi salari. Colpire il frontaliere è populismo allo stato puro. Il documento governativo non propone misure che incidano strutturalmente sulle dinamiche dello sviluppo odierno del mondo del lavoro. Penso a misure di politica salariale, contrattuale o che ostacolino le attuali distorsioni del mercato del lavoro ticinese. Nelle misure governative non vi è nessuna traccia di estensione dei contratti collettivi, della protezione dei delegati sindacali, del libero accesso delle organizzazioni sindacali sui posti di lavoro, dell’interruzione immediata dei lavori in caso di evidenti segnali di dumping, del salario minimo di 4.000 franchi. Anche il contenimento del lavoro interinale, centrale nella distorsione odierna del mondo del lavoro, è stato approcciato timidamente con la proposta di parificare i termini della disdetta al Codice delle obbligazioni, poi bocciata sul piano federale. Eppure sono queste le misure in grado di mettere della sabbia negli ingranaggi nella macchina del dumping. Non il car pooling o i posteggi park and ride (temi a quali sono dedicati sei misure, ndr). Nel presentare il documento alla stampa, il governo cantonale ha ricordato che molti interventi sono di competenza federale. Vero, tant’è che come sindacato siamo presenti sul tavolo di lavoro nazionale coordinato dal Segretariato di stato dell’economia (Seco), lavorando sugli aspetti legati alla contrattualistica. Ad esempio riteniamo importante oggi rendere più facile poter decretare contratti di obbligatorietà generale sulla base di un interesse pubblico preponderante, quale il contrasto del dumping. Lo scambio spontaneo di informazioni con l’autorità fiscale italiana delle prestazioni in Svizzera dei lavoratori italiani è stata bocciata dal governo. Sia i sindacati sia le associazioni padronali lo ritengono però l’unico mezzo per smascherare la doppia contabilità delle imprese sulle ore effettivamente prestate. Siete delusi? Sì e non ci diamo per vinti. Stiamo utilizzando i canali che abbiamo con la Regione Lombardia per approfondire la tematica, al fine di capire quali siano i margini di manovra per l’attuazione. Certo, anche in questo caso sappiamo che ci sono enormi resistenze in Svizzera, soprattutto dagli ambienti bancari e fiscali, timorosi di perdere altri pezzi del segreto bancario. In conclusione, crede sarà possibile riuscire a invertire la rotta, restituendo dignità al lavoro? La sfida è enorme: tornare a un mercato del lavoro più regolamentato. Ci vorranno anni per riuscire a vincerla. Arriviamo da trent’anni di offensiva neoliberista che ha fatto tabula rasa dei diritti dei lavoratori, che ha inciso sui valori delle persone e reciso la memoria storica. Si tratta dunque di un’operazione titanica. Ma non c’è alternativa. Non abbiamo scelta.
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