A noi tutti piacerebbe avere una sfera di cristallo e sapere come sarà il mondo tra sei mesi o un anno. La solidarietà che la popolazione svizzera dimostra nei confronti del personale sanitario, del personale incaricato delle pulizie e degli impiegati dei supermercati si manterrà? Questo impegno sarà riconosciuto con una rivalorizzazione del loro stipendio e del loro statuto? Saremo ancora pronti a sostenere le loro rivendicazioni, dopo averli applauditi dai nostri balconi? E nei paesi dove la maggioranza della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, pigiata nelle bidonvilles, e dove gli ospedali sono sotto-dotati, si riuscirà a fermare la diffusione del virus e limitare il suo impatto sulle persone più vulnerabili? Milioni di persone avranno perso i propri mezzi di sussistenza e le proprie case. La speranza di vivere un giorno una vita migliore sparirà con le nuove misure di austerità, che avranno un impatto ancor più forte sulle persone che già oggi vivono nella precarietà? Molte domande e così poche risposte. Solo degli scenari, dal migliore al peggiore. Mantenimento di questa solidarietà ritrovata con i nostri anziani o società sotto sorveglianza per tracciare i contatti con i potenziali portatori del virus? Avremo una possibilità di scelta? In questo momento numerosi governi stanno investendo nelle tecnologie di sorveglianza per limitare la diffusione del Covid-19. La Svizzera non è da meno: l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) ha chiesto a Swisscom di pubblicare i dati sugli assembramenti e la mobilità delle persone. I dati sono aggregati e anonimizzati prima della trasmissione all’Ufsp. Di primo acchito non sembra un’intrusione nella vita privata. E poiché l’obiettivo è la protezione della salute pubblica siamo tutti d’accordo di cedere un pezzetto della protezione della nostra vita privata. Deve però farci riflettere il fatto che, in un primo tempo, l’Ufsp ha rifiutato di rendere pubblica l’ordinanza sulla quale si basa questa sorveglianza. Le informazioni supplementari sono state fornite solo in seguito alla pressione da parte dell’Incaricato federale alla protezione dei dati sull’Ufsp. Per questo motivo a inizio aprile Amnesty International, insieme con le federazioni dei consumatori svizzero-tedesca e romanda e con Digitale Gesellschaft, ha lanciato un appello con il quale si chiede che qualsiasi misura di sorveglianza sia sempre proporzionata, anche in una situazione di stato d’emergenza. Questi strumenti possono essere molto utili per lottare contro la pandemia, ma le misure devono essere limitate nel tempo e comunicate in modo trasparente. Questo perché, e lo vediamo in altri paesi, una volta in funzione la sorveglianza generalizzata non è così facile per i governi rinunciare a queste tecnologie e ai poteri che procurano.
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