La crisi economica che si protrae oramai dal 2008 non accenna a rallentare e chi l'ha causata - cioè le banche - se l'è cavata grazie al denaro degli Stati. Questi ultimi in passato anche fortemente criticati dagli stessi istituti bancari. Dall'altra parte i governi dei vari paesi stanno cercando di correre ai ripari varando piani miliardari per aiutare e rilanciare aziende in ginocchio con l'intento di creare un indotto rivitalizzante per l'intero sistema economico. La politica a livello internazionale cerca di reagire al disordine che si sta creando, con la ritrovata consapevolezza di riappropriarsi del suo ruolo centrale. Dunque una nuova vicinanza e un'intesa ritrovata tra vera politica, economia e sistema finanziario. E invece in Svizzera cosa sta succedendo? La politica nazionale e locale si è concentrata su interventi congiunturali, adottando decisioni incomprensibili in un momento difficile come quello che stiamo attraversando. Infatti è di inizio giugno l'approvazione in maniera definitiva (non transitoria come proposto dal Consiglio di Stato) da parte del Gran consiglio ticinese della misura numero 14 del pacchetto anticrisi che propone di ridurre dal 9 all'8,5 per cento l'aliquota dell'imposta sull'utile delle persone giuridiche. Misura che rappresenta quasi la metà dei soldi messi a disposizione dal pacchetto anti-crisi e che di fatto non va a favore di aziende in difficoltà o degli artigiani che operano nel nostro Cantone. Allora, alla luce di questa informazione appare ovvio che il referendum proposto dal Partito socialista per combattere questa misura doveva essere lanciato, considerato altresì che di misure sociali nel pacchetto ve ne sono ben poche. Vista l'approvazione di questo tipo di misura, ci si può ad esempio chiedere dove e quando vengono stanziati i soldi per proporre corsi di formazione e di perfezionamento professionale sia per chi lavora e desidera seguire corsi di riqualificazione (sempre più importanti e richiesti in un mondo del lavoro complesso ed esigente), ma anche per chi è in disoccupazione parziale. Si dovrebbe porre maggiormente l'accento sulla formazione continua, da una parte auspicata e spinta dalle aziende, ma purtroppo non tutte le persone hanno i mezzi economici sufficienti per affrontare aggiornamenti importanti per il loro futuro professionale. E a livello nazionale la situazione non è migliore. Nell'ultima sessione parlamentare si è discusso della prossima revisione dell'assicurazione disoccupazione e i parlamentari a Berna non sembrano proprio percepire cosa stia succedendo nella realtà. Le proposte accettate dalla maggioranza dei senatori sono incomprensibili. Hanno varato diverse misure unicamente nel nome del risparmio che toccano prevalentemente i giovani. Gli studenti che non trovano lavoro dopo il diploma dovrebbero così attendere sei mesi per poter percepire la disoccupazione, che peraltro riceverebbero solo per quattro mesi contro l'attuale periodo di un anno. Una fascia di popolazione che le statistiche dimostrano essere la maggiormente toccata. Da un lato si accettano quindi sgravi ad aziende che "producono utili", dall'altro si adottano decisioni che penalizzato i giovani, già duramente colpiti dal fenomeno della disoccupazione. Sembra che l'ago della bussola non funzioni più molto bene sia a livello cantonale che federale e che il contatto con la realtà non esista proprio. È importante riuscire a fermare questa tendenza ed una prima occasione per farlo è il sostegno al referendum lanciato in Ticino contro lo sgravio fiscale e per combattere fortemente le misure antisociali. |