Sono un po’ sconsolata. Ho infatti una sensazione forte, fastidiosa che non sia di grande utilità scrivere per proporre, analizzare, approfondire i temi. Sulla scuola come su altro. Non si offendano i lettori! Non sto parlando di loro, ma dell’insieme di questo nostro paese. E la domanda che mi sorge spontanea si riferisce al senso del continuare a ragionar di scuola. Perché francamente, dopo il voto di domenica scorsa, mi sembra giusto chiedermi se sia ancora logico proporre, progettare o sognare qualcosa in un paese che non sa davvero più dare il giusto valore alle cose. In un paese che si è preso tanto tempo, tanta energia per parlare di cose (non di problemi!) inesistenti come il burqa.


In un paese così, che senso ha battersi per qualcosa, ma in particolare per la scuola e la formazione? La scuola e la formazione sono cultura, conoscenza, serietà, rigore, curiosità, intelligenza, capacità di attribuire il dovuto valore e la necessaria importanza alle cose. Sono i luoghi simbolici dove esercitare, far crescere ed affinare le doti necessarie per essere cittadini consapevoli in grado di scegliere liberamente e dar senso e contenuto alle proprie scelte.


E allora la domanda che mi pongo(e che mi rende sconsolata) è: cosa può avere a che fare quello che noi cerchiamo di costruire e proporre nella nostra scuola con il modo con cui è stata condotta la ipocrita e inutile campagna sul burqa e sull’esito scaturito dalle urne? E di riflesso e in modo speculare, quanta capacità di libera e ragionata scelta siamo riusciti ad insegnare alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi, in tanti anni, per ritrovarci oggi con un Ticino che diventa il primo cantone svizzero che pone un tema inesistente davanti a tanti altri e veri problemi? Stiamo davvero tutti così bene da poterci permettere il lusso di occuparci di cose così marginali e poco importanti? Non abbiamo forse problemi più gravi e urgenti (come il lavoro, i salari, la povertà, l’ambiente) di cui dovremmo occuparci e su cui sarebbe stato bello vedere più attenzione e un maggiore impegno anche da parte dei media (che si sono “svenati” per la votazione sul burqa, ignorando invece bellamente la modifica della legge sul lavoro)?


Inoltre, credo davvero importante chiedersi come sia stato possibile che alcune cittadine e alcuni cittadini ticinesi (e tra loro anche parecchie mie ragazze e molti dei miei ragazzi di tanti anni) abbiano potuto scegliere di votare contro il diritto ad indossare il burqa credendo (o facendo finta di credere) di difendere le donne, in nome di un non meglio precisato femminismo, quasi si sentissero passivi paladini della libertà di quelle donne che in realtà, con questo voto, hanno semplicemente condannato a restare relegate in casa.


In ultima analisi sarebbe allora più onesto e corretto dire che dietro tutta questa consapevole o inconsapevole ipocrisia c’è tanta irrazionale paura, una becera chiusura verso l’altro e il diverso, l’incapacità di affrontare il confronto. Tutte cose che la scuola ha il dovere di insegnare a superare.


Credetemi: fare l’insegnante in questo contesto diventa difficile. Perché la scuola è certamente cultura, serietà, rigore eccetera, ma è anche emozione, passione, gioia, entusiasmo, impegno vissuto. Tutti stati d’animo che fatico a tenere vivi nel paese scaturito dalle urne di domenica scorsa.
E non mi capita spesso di sentirmi così!

 

Pubblicato il 

25.09.13

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