Mettersi nei panni degli altri

La presenza sul territorio cantonale e nazionale di gruppi di stranieri violenti continua ad essere al centro dell'attenzione di parecchi ambienti politici e sociali del nostro paese. I giornali ed i media elettronici riferiscono con puntualità di tafferugli, scontri ed altri episodi in cui immigrati si rendono responsabili di vie di fatto, di varia gravità. Sarà forse un caso quest'interesse particolare oppure è indice di un disegno subdolo, pericoloso e virtualmente scorretto? Di fronte alla meticolosità di certi organi di stampa su simili casi, c'è da temere che si verifichi la seconda ipotesi. Ma che gusto trovano ad interrogare di continuo al riguardo procuratori pubblici, consiglieri di stato, rappresentanti della polizia cantonale, il direttore della Croce Rossa, il capo dell'ufficio giuridico della Sezione permessi e migrazione, e via di seguito? A quando un'intervista a qualche clandestino, richiedente l'asilo o anche semplice immigrato in difficoltà? Ci avviciniamo ormai alla zona calda per quanto riguarda il dibattito circa il doppio referendum contro la revisione della Legge federale sull'asilo e contro la nuova Legge sugli stranieri. È vero che la votazione popolare sembra ancora lontana, perché è stata fissata al prossimo 24 settembre. Ed è anche vero che sinora favorevoli e contrari al giro di vite inferto dalle Camere federali non hanno ancora mostrato i denti. Salvo le prese di posizione dei partiti nazionali che hanno sostenuto e votato a Berna le due leggi, per ora la pubblica discussione è stata a dir poco piatta. Ancor meno è avvenuto in Ticino, dove il confronto su tale tema aspetta di essere lanciato a livello sociale, politico, culturale e religioso. Che sia segno d'indifferenza per un argomento ormai sin troppo cavalcato dai populismi di qualunque sponda? Mi sembra importante ed urgente agire come cittadini in un campo, come quello della migrazione, prima che diventi davvero minato. I due referendum, oltre che contrastare misure restrittive giudicate disumane ed inefficaci, vorrebbero contribuire a sollevare una questione che, in tanti modi, tocca sul vivo ognuno di noi. Se è sin troppo facile assimilare tutti gli stranieri a potenziali criminali, nondimeno è rischioso per uno stato di diritto delegare alle polizie cantonali e comunali o addirittura ad agenzie di sicurezza private la gestione della violenza interetnica o lasciare che se ne occupino solo i politici o gli enti specializzati. Come in tanti altri ambiti d'interesse pubblico, mi pare indispensabile che la società civile assuma un ruolo di guida, pragmatico e purificato da schemi preconcetti. D'altronde, i luoghi comuni sugli stranieri fannulloni e sfruttatori della bontà svizzera si possono combattere con un atteggiamento di vera comprensione e solidarietà, o di empatia (provando ad immaginare cosa vuol dire emigrare e doversi adattare ad usi e costumi diversi dai propri). Ed è quanto può avvenire a partire dai rapporti interpersonali, più che sulla base di decisioni legali.

Pubblicato il

19.05.2006 13:30
Martino Dotta