Il passaggio alla produzione di auto elettriche e la pandemia, una tempesta perfetta per il futuro occupazionale del ramo. È in questo contesto che il sindacato tedesco si è confrontato col padronato nel rinnovo contrattuale dei metalmeccanici. Ecco come è andata a finire.
Le relazioni di lavoro in Germania hanno sempre un risvolto importante nel continente europeo, anche se raramente assurgono a modello. Nella tanto decantata produttiva industria metallurgica ed elettrica tedesca, dal 1995 si lavorano 35 ore la settimana, che salgono a 38 nell’ex Germania dell’Est. Dalle cinque alle due ore in meno dell’industria elvetica. In vista del rinnovo contrattuale 2021, IG Metall, la più grande organizzazione dei lavoratori tedesca coi suoi 2,3 milioni di iscritti, lo scorso autunno ha lanciato la sua proposta: aumenti salariali del quattro per cento e riduzione del tempo di lavoro da 35 a 32 ore settimanali, ossia quattro giorni lavorativi alla settimana. «Per evitare licenziamenti dobbiamo far lavorare tutti ma di meno» aveva riassunto Jörg Hofmann, leader della potente organizzazione dei lavoratori. Terza richiesta, la costituzione di fondi da destinare alla formazione degli operai nelle nuove competenze richieste nell’immediato futuro. Leggi anche=> Meno ore di lavoro, più occupazione Una proposta coraggiosa, visto il contesto dato. La vertenza contrattuale concerne l’intera industria metalmeccanica ed elettrica tedesca che impiega quasi quattro milioni di lavoratori. Ma è indubbio che il peso maggiore, non fosse che per l’indotto a essa collegato, lo porta l’industria automobilistica. Stando ai dati dell’agenzia federale del lavoro, i soli grandi gruppi automobilistici contano su suolo tedesco 830mila dipendenti e rappresentano almeno il 5% del Pil nazionale. La transizione ai veicoli elettrici stava già pesantemente ridimensionando l’occupazione e gli scenari futuri erano apocalittici. A gennaio del 2020, un rapporto della Piattaforma nazionale sulla mobilità del futuro (consulente del governo tedesco) stimava entro il 2030 una possibile perdita di 410mila impieghi tra produzione e fornitori causata dalla transizione alle auto elettriche. Altri studi autorevoli, come quello promosso dall’Ue, sono molto meno catastrofici, concludendo che la perdita di lavoro nella filiera industriale verrebbe interamente compensata da nuovi posti di lavoro creati nella filiera dell’energia elettrica. È difficile prevedere come andrà davvero. Di certo, l’operaio oggi attivo in uno stabilimento automobilistico tedesco, ha molte ragioni per temere di perdere il lavoro a breve termine. Non è che ci si converte professionalmente da un giorno all’altro, specie dopo aver lavorato anni in un certo modo. A complicare il tutto, nelle settimane seguenti al rapporto, l’arrivo della devastante pandemia in Europa che ci sta ancora accompagnando. Come dunque fronteggiare questa paura diffusa tra gli operai della perdita d’impiego, in una risposta collettiva nell’organizzazione dei lavoratori? Come detto, Ig Metall, ha risposto proponendo la tenuta del potere d’acquisto degli operai con degli aumenti e il salvataggio dell’occupazione con la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario. Non se ne parla nemmeno, è stata la scontata prima risposta del padronato, proponendo l’esatto opposto, ossia una rivisitazione al ribasso del contratto esistente, accompagnata da zero aumenti. Non è andata così. L’adesione di un milione di metalmeccanici agli scioperi di avvertimento nei primi mesi di quest’anno e i sette round di negoziati, hanno portato alla firma di un accordo regionale, siglato il 30 marzo nel Nord Reno-Vestfalia, successivamente esteso a livello nazionale. Ridotto in estrema sintesi, l’accordo prevede che gli aumenti salariali (2,3% dal primo luglio) saranno accantonati in un conto fino a febbraio 2022. A quel momento, in maniera paritetica tra sindacati e padronato, sarà analizzato lo stato economico di ogni singola azienda. Se quest’ultima è in buone condizioni economiche, i lavoratori riceveranno gli aumenti mensili arretrati in un sol colpo, equivalenti al 18,4% di una mensilità. Nelle aziende in difficoltà economica invece, i fondi saranno utilizzati per ridurre il tempo di lavoro dei dipendenti a parità di salario. Lo schema si ripeterà nel febbraio 2023, con un saldo finale del 27.3% di una mensilità. Entro quest’estate invece, quasi quattro milioni di dipendenti riceveranno in busta paga 500 euro di “bonus Corona”, mentre gli apprendisti riceveranno 300 euro. Apprendisti che, per la prima volta, saranno inseriti e tutelati dal contratto collettivo di settore. Difficile dire chi sia uscito vincente dall’accordo, tanto più che entrambe le parti esultano. Il leader del distretto IG Metall del Nord Reno-Vestfalia Knut Giesler ha definito l’accordo un «risultato che farà tendenza» poiché permette «di finanziare una riduzione dell’orario di lavoro in caso di problemi occupazionali senza alcuna perdita significativa di salario dei dipendenti». Anche il padronato tedesco esalta l’accordo, felice soprattutto di aver evitato gli aumenti salariali del 2020 posticipandoli fino a luglio di quest’anno, In secondo luogo, gioisce per aver neutralizzato la richiesta sindacale di “contributi solidali” presso quelle imprese che nell’anno pandemico hanno registrato ottimi affari. Perché sì, esistono anche queste. Il 31 marzo, il giorno successivo all’accordo contrattuale, un raggiante Ola Källenius, capo della Daimler (tra i cui marchi conta Mercedes-Benz), ha annunciato all’assemblea degli azionisti un aumento del dividendo maggiorato del 50% rispetto all’anno precedente, distribuendo così 1,44 miliardi di euro dei profitti dell’anno pandemico. Utile operativo del gruppo Daimler che ammonta nel 2020 a 6,6 miliardi di euro. Complessivamente, le trenta imprese più importanti quotate alla borsa tedesca, verseranno 34 miliardi di dividendi agli azionisti per l’anno pandemico, un importo leggermente in crescita rispetto all’anno precedente. Il grande capitale tedesco sembra dunque non aver sofferto di pandemia, a differenza dei lavoratori. In maniera per nulla scontata, Ig Metall è riuscita a mobilitarli in numeri importanti malgrado le limitazioni imposte dalla pandemia e soprattutto ha creato il consenso sulla risposta da dare in un contesto eccezionalmente difficile. Garantire un minimo di ripartizione della ricchezza con aumenti da eventualmente convertire in tempo libero a parità di salario per salvare l’occupazione. Non è un esempio da poco.
|