Mestiere del passato speranza di futuro

Anche nella ricca Lugano rispunta il lustrascarpe

Lugano, centro città, quella stessa zona dove – lo dichiarava di recente con un certo orgoglio un'immobiliarista alla trasmissione della Rsi Falò – il costo di un appartamento può raggiungere quello di uno a New York con vista sul Central Park. Negozi, banche, bar e, su un marciapiede, un uomo che offre un servizio dal prezzo in controtendenza rispetto a quelli esposti nelle vetrine. È un lustrascarpe, si chiama Michael ed è stato nelle scorse settimane oggetto di attenzione da parte della stampa locale.

 

Il giovane uomo – un viaggio tortuoso che parte dal suo paese, l’Eritrea, e passa attraverso Sudan e Libia prima dell’approdo in Sicilia e quindi l’arrivo in Svizzera – ha ripreso con un certo spirito imprenditoriale l’attività già svolta da bambino nel suo paese, grazie al sostegno di Soccorso operaio e la disponibilità del negozio di sport che lo ospita davanti alle sue vetrine.


Una professione antica quella dello “shoeshiner”, come si chiama nei paesi anglofoni. O, per assonanza, dello sciuscià, come è stato italianizzato il termine al tempo della seconda guerra mondiale, quando l'attività era svolta da bambini per le strade di Napoli e Roma soprattutto. Un termine reso poi eterno dall’omonimo capolavoro del cinema neorealista di Vittorio De Sica del 1946, in cui si racconta di due bambini che praticano nella romana via Veneto a guerra da poco conclusa.


Una professione esercitata sin dalla fine del XIX secolo, quando il lucido da scarpe ancora non era stato inventato, sopravvissuta nel tempo in alcune zone del mondo ma che pareva totalmente scomparsa alle nostre latitudini, condannata in parte dal consumismo, che impone la sostituzione di tutto ciò che appare appena gualcito, in parte dal senso di colpa che si prova di fronte a qualcuno che svolge in ginocchio davanti a noi il suo lavoro. E sono molti i nomi celebri che si sono cimentati da bambini con lucido e spazzole prima di assurgere all’Olimpo della fama in altri campi: da James Brown, che lustrava scarpe per le strade della Georgia prima di diventare il “Godfather of Soul” a Malcolm X, che il lavoro lo svolgeva a Harlem, New York; dal dodicenne brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, allora lontano dall’idea di diventare presidente, al futuro  capo di Stato del Perù Alejandro Toledo.


Complice la crisi, i lustrascarpe si stanno facendo nuovamente e timidamente notare nelle strade delle città italiane: mentre a Napoli gli ultimi due sciuscià ormai ultrasettantenni che praticano da decenni in un negozio ricevono lo sfratto dal Comune, a Milano un giovane rumeno offre il suo servizio nelle vicinanze del Duomo. Ma anche in Svizzera: a Ginevra, all’aeroporto di Cointrin, un ex assicuratore, ritrovatosi improvvisamente disoccupato, sceglieva 15 anni or sono di affrontare i potenziali 12 milioni di scarpe che annualmente calpestano i pavimenti dell’aeroporto.


L’apparizione di Michael e del suo commercio a Lugano è stata incoraggiata dai molti passanti, sull'onda di una curiosità suscitata non tanto dall'attività in sé poiché, in tempo di perdurante crisi, l’iniziativa personale e la riproposta di mestieri che si pensavano scomparsi sembrano costituire una pur difficile soluzione, quanto per la novità che rappresenta, in un luogo in cui anche trovare un classico calzolaio sta diventando un’impresa di non semplice soluzione.
Con la classica poltrona rialzata e l’ambizione di rivisitare un mestiere contando sul suo potenziale di sviluppo nel tempo, Michael affronta con ottimismo gli ancora pochi clienti, secondo le parole da lui stesso pronunciate al terzo giorno di lavoro.


Fedeli al fatto che ogni occupazione è dignitosa quando svolta in assenza di sfruttamento o condizioni lavorative ingiuste, e in assenza di notizie sul successo ottenuto in seguito dall'iniziativa, qualcosa però stona nella notizia pubblicata. Innanzitutto, l'esaltazione della scelta dell'uomo di non affidarsi al sostegno sociale per facilitare l'inizio precario della sua attività, decisione lodevole ma forse sottolineata con eccessiva enfasi da certa stampa, quasi a suggerire un doveroso senso di colpa da parte di chi, al contrario, a quel sostegno fa ricorso. Una visione quasi liberista, insomma, colta nel momento stesso in cui la politica di quel tipo ha mostrato quanto le sue fondamenta siano affondate nell’argilla.


E quindi una seconda considerazione sul plauso, mai veramente  esplicito ma nemmeno troppo nascosto tra le parole, allo straniero che diventa più accettabile quando non va a “pesare” sul sostegno sociale, un’opzione per la quale tutti dobbiamo ringraziare il cielo quotidianamente, a maggior ragione in un momento in cui il lavoro stabile sembra un ricordo lontanissimo nel tempo. Mentre il nostro lustrascarpe rischia di trasformarsi, inserito nella zona del lusso forzato, da serio esempio di microimprenditorialità, da premiare come clienti, in attrazione turistica a rischio di folclore. E non certo per colpa sua.

Pubblicato il

23.05.2013 14:07
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