I conti dell'Avs stanno bene. Nel 2007 il primo pilastro ha chiuso i conti con un utile di 1,5 miliardi di franchi. Lo scorso 31 dicembre in cassa c'erano 40,6 miliardi di franchi, l'equivalente di un anno e tre mesi di rendite. E questo benché anche l'Avs abbia subito i contraccolpi della crisi dei mercati finanziari: nel 2006 l'utile era stato di 2,7 miliardi. È dal 2003 che l'Avs registra in media utili di 2 miliardi all'anno, smentendo clamorosamente di 4 miliardi all'anno le previsioni del Consiglio federale, che ancora nel 2000 paventava l'apertura di una voragine spaventosa nei suoi conti. L'Avs sta bene sostanzialmente per tre motivi: perché il sistema di ripartizione alla base del suo finanziamento (chi lavora paga le rendite di chi è in pensione) funziona bene, perché ha costi amministrativi bassi e per l'oculata gestione dei rischi.
Un po' meno bene di questi tempi sta il secondo pilastro, quello che funziona con il sistema della capitalizzazione (ogni salariato mette da parte un capitale che da vecchio finanzierà la sua rendita individuale). Esso infatti è fortemente esposto alle turbolenze dei mercati finanziari. Tanto che la scorsa settimana la Commissione federale Lpp ha proposto al Consiglio federale di ridurre dal 2,75 al 2 per cento il tasso di interesse minimo per gli averi del secondo pilastro. Se il governo accetterà la proposta avremo il tasso di rimunerazione più basso mai registrato nella storia della previdenza professionale: fino all'esplosione della bolla speculativa del 2002 esso era ancora del 4 per cento. Ma il secondo pilastro è anche poco trasparente, e i suoi costi amministrativi (3,5 miliardi all'anno) sono quattro volte e mezzo quelli dell'Avs (800 milioni).
È in questo contesto, con un'Avs che sprizza salute da ogni poro e un secondo pilastro in affanno, che arriva al voto, il prossimo 30 novembre, l'iniziativa popolare "Per un'età dell'Avs flessibile" lanciata dall'Unione sindacale svizzera (Uss). Essa mira a dare a tutti, compresi coloro che hanno redditi modesti, la possibilità di andare in pensione a partire da 62 anni. Questa libertà di scelta sarà finanziata con un aumento del prelievo per l'Avs (pari allo 0,24 per cento del salario, ripartito equamente fra lavoratore e datore di lavoro) e non comporterà dunque nessun costo maggiore per l'Avs stessa. Essa continuerà così ad essere sana anche negli anni a venire, distribuendo in tutta serenità le sue rendite quando in pensione sarà andata la generazione del baby boom. Nel contempo, qualora sarà accettata dal popolo, l'iniziativa "Per un'età dell'Avs flessibile" aiuterà a sgravare le altre istituzioni della sicurezza sociale, in particolare il secondo pilastro.
Torneremo a più riprese nelle prossime settimane su questa importantissima votazione, che dopo anni di difesa del nostro sistema di assicurazioni sociali dagli attacchi della destra, permette finalmente di fare di nuovo un passo avanti. E quanto sia necessario tener conto delle esigenze individuali dei lavoratori più anziani ce lo dice, malauguratamente, il collasso occorso al ministro delle finanze Hans Rudolf Merz – uno che, in linea con il suo partito, non si sarebbe risparmiato nel combattere l'iniziativa dell'Uss. Con l'argomento, del tutto infondato, che metterebbe in pericolo la solidità finanziaria dell'Avs. In realtà a dover preoccupare oggi, in un mercato del lavoro sempre più esigente, non è la salute dell'Avs, ma quella delle lavoratrici e dei lavoratori più anziani. Merz, suo malgrado, insegna.

Pubblicato il 

26.09.08

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