Merkel e l'incubo degli stipendi

Trovato, dopo mesi di snervanti trattative, l'accordo sulla riforma sanitaria, nella grande coalizione guidata da Angela Merkel si apre ora un nuovo fronte tra Spd e Cdu, quello sul salario minimo. Come per la riforma del sistema sanitario che, a meno di sorprese dell'ultimo momento, dovrebbe entrare in vigore col prossimo primo aprile, anche in questo caso si tratta di una sfida decisiva per la tenuta del matrimonio d'interesse tra socialdemocratici e democristiani. Lo scontro ideologico è notevole e presenta anche delle contraddizioni all'interno degli stessi partiti di governo. Così, se nella Spd, favorevole all'introduzione del salario minimo, ci sono alcuni esponenti che definiscono tale strumento addirittura «controproducente» (il ministro delle Finanze Peer Steinbrück), nella Cdu, che ufficialmente non vuole sentire nemmeno parlare di salario minimo, la sinistra interna si dice disposta a sperimentarlo in settori limitati.

La discussione sul salario minimo in Germania dura, in realtà, da almeno un paio d'anni e si è infuocata quando nei mesi scorsi il Parlamento europeo ha dato il via libera alla discussa direttiva Bolkenstein sulla liberalizzazione dei servizi a livello comunitario. La paura di vedersi invasi dai famigerati "idraulici polacchi" (e non solo), a bassissimo costo, ha fatto sì che, almeno una parte del mondo politico, prendesse in considerazione la vecchia proposta del sindacato di un salario minimo generalizzato di 7,50 euro l'ora. La campagna del Dgb è stata spalleggiata da principio solo dai socialisti della Linke/Pds, ma in seguito anche la Spd si è detta a favore, inserendo il salario minimo nel proprio programma in occasione dell'ultimo congresso.
Nei giorni scorsi il ministro del Lavoro e vicecancelliere Franz Müntefering ha sostenuto la necessità di introdurre una soglia salariale minima, specie in alcuni settori, come quelli delle imprese di pulizia, dei servizi di sorveglianza e dei call center. «Retribuzioni di 2 o 3 euro l'ora – ha detto Müntefering – non sono accettabili per gli standard di vita del nostro paese.» I casi portati ad esempio dal ministro per argomentare la richiesta del salario minimo, non sono certo un'eccezione in Germania. Secondo l'Istituto federale di statistica, alla categoria dei cosiddetti "working poor" (quei lavoratori che, pur in possesso di regolare contratto e lavorando oltre 40 ore settimanali, rimangono sotto la soglia di povertà) appartiene quasi il 10 per cento della popolazione attiva.
In Germania il salario minimo esiste, per ora, solo nel settore edile e, a detta di tutti, funziona; nel senso che ha messo fine allo sfruttamento (quantomeno a quello legale) della manodopera, senza "mandare in rovina" i costruttori, come a suo tempo avevano paventato gli scettici. Si tratterebbe quindi solo di estendere tale normativa anche agli altri settori lavorativi. La resistenza del padronato, però, si annuncia serrata, tanto più che dalla loro i datori di lavoro hanno sia il partito di Angela Merkel (quantomeno i suoi esponenti più in vista) che i liberali della Fdp. Secondo i critici, il salario minimo generalizzato a tutte le categorie sarebbe in contraddizione con il principio di flessibilità introdotto già dalle riforme di Gerhard Schröder e confermato dalla Große Koalition e alla lunga porterebbe ad un aumento della disoccupazione, visto l'aumento dei costi per le imprese. Un'ipotesi, questa, per altro smentita dalla maggioranza degli altri paesi europei e dagli stessi Stati Uniti che il salario minimo, in forme diverse, lo hanno introdotto già da tempo.
Alla fine, come per la riforma sanitaria, anche per il salario minimo Cdu ed Spd potrebbero trovare un compromesso, come, ad esempio, l'introduzione di questo strumento solo nei settori dove il dumping salariale è particolarmente feroce. E magari, invece che a 7,50, fissando la retribuzione oraria a 5 euro. Di più, per il momento, visti i rapporti di forza al Bundestag, appare irrealistico.

Pubblicato il

19.01.2007 03:00
Tommaso Pedicini