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Meno energia, materiali, fatica |
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Non ho votato alle elezioni italiane. La legge elettorale, concepita da un dentista di Bergamo che la definisce "una porcata" e dal suo padrone che la definisce "un'ottima legge", è incostituzionale e impedisce ai cittadini di scegliere i candidati. Queste elezioni sono state dominate dalle campagne acquisti come i tornei di calcio, si è parlato molto di persone e poco di contenuti, gli slogan dei due principali candidati erano intercambiabili e non dicevano niente. Soprattutto non ho trovato in nessun partito una prospettiva per il futuro che andasse al di là di qualche anno. Eppure saranno gli eletti a decidere se il nostro paese andrà in guerra o no, se consumerà e inquinerà di più o di meno, se si continuerà a togliere ai poveri per dare ai ricchi o se si farà il contrario, se si continuerà a impoverire e privatizzare i beni e i servizi pubblici. Nei rari casi in cui in questa campagna si è parlato di contenuti, questi riguardavano in prevalenza la circolazione dei soldi, non delle cose. Se avessi dovuto chiedere un impegno per il futuro non avrei chiesto se mi promettevano di diminuire le tasse sulla mia fascia di reddito. Avrei chiesto: "Cosa mi prometti di fare subito perché fra cinquant'anni l'Italia sia vivibile, in un mondo vivibile?". Siamo arrivati a questo punto di crisi, perché i governanti si sono quasi sempre occupati dei prossimi mesi e anni, raramente dei prossimi decenni e secoli. Ma noi stiamo producendo danni che dureranno secoli e millenni, una cosa che non era mai accaduta nella storia. È questa la gran novità delle nostre tecnologie e della nostra economia. Quindi i politici devono darsi obiettivi chiari e misurabili che vadano al di là non solo di una legislatura, ma della durata della loro vita. Diversi stati europei hanno programmi energetici di molti decenni. Ma chi dei partiti italiani parla del 2050? Voterò quando troverò qualcuno che abbia capito perché la qualità della nostra vita continua a peggiorare e quali sono i tre obiettivi – tre, non di più! – per invertire questa tendenza.
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Quasi tutti i peggioramenti della nostra vita hanno una causa comune: troppa economia. Troppa energia, troppo petrolio, troppi materiali, troppo inquinamento, troppi rifiuti, troppi chilometri, troppa pubblicità, troppa corruzione, troppo stress, troppo lavoro. Contro ognuno di questi "troppi" servono molte iniziative. Ma il risultato finale dovrebbe essere facilmente misurabile: meno economia, più vita. "Less stuff, more fun" (meno roba, più piacere), come dicono gli statunitensi del movimento "New American Dream" (1). Nelle classifiche dei consumi per abitante nei Paesi industriali l'Italia è al primo posto per cemento, automobili e telefonini, ma agli ultimi per felicità e soddisfazione della vita. Se usassimo meno energia e meno materiali, ci basterebbe lavorare meno e vivremmo meglio. Faremmo così meno danni alla salute e all'ambiente e risparmieremmo milioni d'ore di lavoro oggi dedicate a curare danni e malattie e a cercare di ripararli. Sarebbe una società del buon senso, in cui l'economia servirebbe a far star bene le persone invece che le persone a far star bene l'economia. Oggi invece facciamo tutto al contrario: consumiamo per poter vendere, vendiamo per poter produrre, produciamo per poter lavorare. È il contrario di come hanno funzionato tutte le altre civiltà. Pur sapendo che già ora l'umanità consuma troppe risorse materiali, l'obiettivo della maggioranza dei politici e degli economisti è di aumentare ulteriormente i consumi, specialmente nei Paesi più ricchi. Nel mondo spendiamo mille miliardi di euro all'anno in pubblicità per convincere persone che non ne hanno i mezzi a comprare cose di cui non hanno bisogno. Vi sembra sensato? Un parlamentare che avesse capito queste cose dovrebbe cominciare a lavorare subito per tre obiettivi: meno energia, meno materiali, meno fatica. Nel bene e nel male, quasi tutto il resto dipende da questi tre fattori. Occorrono pochi obiettivi generali, chiari e misurabili.
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Meno energia! Dei tre obiettivi, questo è il più importante. Per scaldarci, abitare, muoverci, nutrirci e produrre merci consumiamo in Europa 6 mila watt per abitante d'energia commerciale. È come se ognuno di noi tenesse accese 60 lampadine da 100 watt, giorno e notte, tutto l'anno. Più di metà di quest'energia non produce benessere, ma sprechi, danni e calore perduto. Riducendo questi sprechi si può ridurre il consumo senza ridurre il benessere. Ingegneri hanno calcolato che entro il 2050 possiamo scendere da 6 mila a 2 mila watt per abitante. Ma perché scendere a 2 mila watt, cioè ai nostri consumi degli anni '60? Per due motivi. Primo: 2 mila watt è oggi il consumo medio individuale della popolazione mondiale; se non superiamo questa soglia, almeno non aumentiamo i danni che già oggi facciamo con i 12 mila watt degli statunitensi, i 6 mila degli europei, i mille degli indiani e i 500 degli africani. Se non vogliamo aumentare i danni ma vogliamo permettere a quattro miliardi di persone di aumentare il loro benessere materiale, chi oggi consuma troppo deve ridurre il suo consumo. Secondo: una "società da 2 mila watt" è per esempio l'obiettivo che si è data per il 2050 la Svizzera (2), uno dei Paesi con il più alto livello di sviluppo, di benessere e di soddisfazione della popolazione. L'obiettivo dei 2 mila watt è stato formulato dai Politecnici federali di Zurigo e di Losanna e adottato dai principali enti di ricerca federali sulle tecnologie energetiche, sui materiali, sulle acque, dall'ente federale per l'energia, dalla società degli ingegneri e degli architetti e infine dal governo svizzero nel 2002, con la sua "Strategia di sviluppo sostenibile" (3). Proprio perché la Svizzera si è data un obiettivo lontano, ha cominciato già da diversi anni a muoversi nella direzione giusta. In Svizzera ci sono già 9 mila edifici a basso o bassissimo consumo, per un totale di 9 milioni di metri quadrati. Sono costruiti o ristrutturati secondo lo standard "Minergie" (4), una norma e un marchio elaborati insieme dallo Stato, dagli ingegneri, dagli architetti e dalle imprese e destinati a diventare lo standard di tutti gli edifici. 100 mila pompe di calore sono installate in Svizzera per scaldare gli edifici con il calore del sottosuolo e la maggioranza delle case in costruzione adottano questo sistema (5). La Germania ha varato un piano per ridurre del 40 per cento le emissioni di Co2 entro il 2020. La Svezia e l'Islanda sono in gara tra loro per diventare la prima nazione oil-free (libera dal petrolio) entro il 2020. In Italia invece c'è chi vuole tornare alle utopie nucleari degli anni '70 e al carbone.
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Meno materiali! Per ogni italiano si prelevano dalla natura in un anno 36 tonnellate di materie prime (2004) (6), dieci volte di più di cento anni fa. Tre quarti di questi materiali tornano nella natura entro un anno come rifiuti o emissioni. La maggior parte sono ancora buoni e preziosi; sarebbero utili per fare nuovi prodotti. Invece li mescoliamo tra loro, li disperdiamo nell'aria, nelle acque, nei suoli, li seppelliamo, cerchiamo di bruciarli. Basterebbe che ogni ramo industriale fosse obbligato a riprendersi i prodotti che ha fabbricato ed ecco che gran parte dei materiali sarebbero riutilizzati. In Svizzera potete riportare nei negozi d'elettrodomestici qualunque vecchio elettrodomestico, anche se non lo avete comprato lì e se non ne comprate un altro. Aziende pioniere hanno adottato questa strategia. Interface, il più grande produttore al mondo di moquette (7) produce le moquette nuove con i materiali delle sue moquette vecchie. Voi non comprate più una merce, pagate un servizio: anni di copertura di pavimento invece che quintali di moquette. Scienziati europei hanno fondato l'"Istituto del fattore dieci" (8): secondo loro è necessario e possibile che i Paesi industriali aumentino drasticamente la loro efficienza materiale, riducendo di dieci volte il loro uso di materie prime entro cinquanta o cento anni. Anche il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente raccomanda la strategia del "fattore dieci" per i Paesi industriali (9). Il sistema più efficace è spostare gradualmente le tasse dal lavoro all'uso di materiali e di energia: tassare meno il lavoro e tassare di più materiali e combustibili, in modo da rendere disoccupate le tonnellate, non le persone. Questa strategia si chiama "Riforma Ecologica Fiscale" e in molti Paesi la stanno facendo (10). Quale partito e quale parlamentare si sono impegnati a farla in Italia? Entro il 2050 venti tonnellate per abitante invece delle attuali 36. È possibile. Ma bisognerebbe cominciare adesso.
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Meno lavoro! Il terzo obiettivo su cui un parlamentare dovrebbe impegnarsi è quello della riduzione della fatica. Della nostra, non della sua. Grazie all'ingegno umano e alla legislazione sociale, nei Paesi industriali oggi si lavora metà delle ore di cento anni fa e si produce dieci volte di più. Da secoli il progresso tecnico e sociale vuol dire dividere i benefici dell'aumento della produttività in due metà: una per aumentare le merci e l'altra per diminuire la durata della fatica umana. Secondo alcuni però ora la seconda metà del progresso si dovrebbe fermare: l'aumento della produttività dovrebbe essere tutto investito nella produzione di più merci, mantenendo costanti le ore di lavoro o addirittura aumentandole. Ma così otteniamo più consumi materiali, più inquinamento e una vita sempre più stressata. Lo stress aumenta perché oggi alle ore di lavoro pagate bisogna aggiungere decine d'ore la settimana per spostarsi sempre di più e sempre più lontano e per amministrare la propria persona e la propria famiglia come se ognuno fosse un'azienda. Un quarto delle ore di lavoro crea prodotti inutili o dannosi e un altro quarto cerca di misurare e riparare i loro danni. Se non facessimo tanti danni con un eccesso di consumi, ci basterebbe lavorare metà. Lo diceva già Keynes nel 1930: secondo lui entro un secolo (2030) quindici ore di lavoro alla settimana sarebbero bastate a produrre il necessario per tutti (11). Come mai, nonostante progressi di produttività che Keynes non poteva nemmeno immaginare, ora c'è chi chiede di aumentare le ore di lavoro? Un parlamentare dovrebbe darsi da fare per dimezzare le ore di lavoro entro cinquant'anni: da quaranta a venti ore la settimana; e per distribuirle meglio tra chi oggi deve lavorare troppo e chi è costretto alla disoccupazione.
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Per perseguire questi tre obiettivi occorrono decine d'iniziative. Ma il programma per il 2050 si può riassumere in una parola: meno. E in un gesto, mostrando le prime tre dita di una mano: energia, materiali, lavoro. In Italia non conosco partiti o politici capaci di farlo.
1) newdream.org 2) novatlantis.ch 3) http://www.are.admin.ch/dokumentation/00121/00224/index.html?lang=it&msg-id=10201 4) minergie.ch/it 5) geothermie.ch 6) arpa.it 7) interfaceinc.com; en.wikipedia.org/wiki/Ray_Anderson 8) factor10-institute.org 9) unep.org/Geo2000/english/0028.htm 10) en.wikipedia.org/wiki/Ecotax; web.net/ecoeco/ecotaxrf.htm 11) http://www.eco.utexas.edu/faculty/ Cleaver/368keynesgrandchildrentable.pdf
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