«Non c'è una sola argomentazione pertinente tra quelle che vengono evocate per giustificare la riduzione dell'aliquota minima di conversione per gli averi del secondo pilastro». Silvano Toppi, economista-umanista, è categorico e non esita a definire «assurdo» il ragionamento di coloro che evocano l'evoluzione demografica per giustificare "l'evaporazione" delle pensioni. «L'equazione secondo cui l'aumento della speranza di vita comporta un taglio delle rendite (e dunque un elemento positivo di progresso sociale produce un effetto negativo) rappresenta un enorme paradosso. Oltretutto a pochi anni di distanza dall'entrata in vigore (nel 2005) della prima revisione della Legge sulla previdenza professionale (Lpp), che dell'elemento demografico ha già tenuto conto (attraverso la riduzione dell'aliquota minima di conversione dal 7,2 al 6,8 per cento, ndr)».

«Ridicola» è inoltre la pretesa di calcolare il rendimento attendibile dell'avere di vecchiaia, ancorandosi unicamente al rendimento dei capitali a basso rischio come quello delle obbligazioni della Confederazione. «Una posizione -argomenta Toppi- che smentisce l'attuale tendenza di portare in borsa il secondo pilastro e, in buona  parte, tutte le altre assicurazioni sociali, Avs compresa. A questo proposito val la pena ricordare che poco più di un anno fa lo stesso Consiglio federale ha addirittura allentato le condizioni di investimento per gli istituti di previdenza, innalzando al 15 per cento il livello massimo dei fondi altamente speculativi nei loro portafogli. È dunque assolutamente contradditorio fare previsioni di rendimento prendendo come punto di riferimento gli investimenti abbastanza sicuri in obbligazioni della Confederazione e poi permettere questo genere di operazioni finanziarie, estremamente rischiose».

 

Il Consiglio federale, per giustificare la riduzione dell'aliquota di conversione, fa notare come i capitali degli istituti di previdenza negli ultimi anni rendano sempre di meno...

A parte il fatto che si commette un errore di fondo nel considerare la borsa come l'unico elemento sanatorio per la redditività dei fondi di cassa pensione, in questo ambito va considerato l'andamento sul lungo periodo perché siamo di fronte ad un'assicurazioni sociale con un orizzonte di sessant'anni (40 di contributi e 20 di prestazioni, ndr). E gli studi prodotti dalle banche indicano che sul lungo termine la crescita della redditività è costante: secondo uno dei più recenti relativo alle borse europee, tra il 1926 e il 2008 il reddito medio è stato del 7 per cento, quindi nettamente superiore al tasso d'interesse tecnico imposto (vedi glossario, ndr) alle casse pensioni. In effetti, su un orizzonte così ampio le perdite sul breve periodo vengono compensate.

È dunque fondamentalmente sbagliato reagire a ogni crisi delle borse con la riduzione del tasso di conversione e del tasso tecnico e di conseguenza con un taglio delle rendite?

Sì. Così si fa il gioco delle assicurazioni private che speculano sui fondi pensione. A mio avviso, sarebbe essenziale vietare di gestire le casse di previdenza alle assicurazioni private, il cui unico obiettivo è il profitto e dunque la soddisfazione degli "appetiti" degli azionisti. Un obiettivo che di fatto espone al pericolo le casse pensioni. Basti pensare, per capire l'assurdità della situazione, che la legislazione federale consente alle compagnie assicurative di prelevare il 10 per cento delle eccedenze che si creano nell'investimento dei fondi delle casse pensioni calcolato sul reddito lordo e non su quello netto. Quindi senza tenere conto della necessità di distribuire le rendite ai pensionati. Lo stesso Consiglio federale ha calcolato che questa semplice differenza produce una perdita di circa 600 milioni di franchi per le casse pensioni.

Fino a che punto sarebbe auspicabile limitare l'utilizzo dei fondi di cassa pensione?

Andrebbero inaspriti i criteri d'investimento in borsa escludendo quelli nei prodotti alternativi ad alto rischio che hanno generato la crisi finanziaria del 2008 e le enormi perdite che ne sono conseguite. Una crisi che dovrebbe indurre ad una politica molto più prudente. Del resto, non ha senso che le casse pensioni rincorrano le banche e le assicurazioni private sul terreno del "mito della performance". Esse si devono limitare a garantire l'equilibrio dei loro conti sul lungo e non solo sul breve termine.

Tra i fattori che indirettamente determinano l'aumento degli oneri a carico degli assicurati, vi sono anche i costi amministrativi. Quelli delle casse pensioni autonome (che gestiscono circa 480 miliardi di franchi) ammontano a 2,7 miliardi e quelli delle fondazioni collettive delle compagnie assicurative (che gestiscono "solo" 120 miliardi circa) a 1,3. Come si spiega questa discrepanza e come potrebbe essere corretta?

La crescita dei costi amministrativi è dovuta essenzialmente agli alti costi di gestione dei capitali, i quali risultano molto inferiori presso le casse autonome. Queste hanno infatti interesse a ridurli, visto che il loro obiettivo, a differenza delle casse collettive, delle assicurazioni e delle banche, non è il profitto. A mio avviso dunque, invece di continuare a rivedere il tasso tecnico e quello di conversione, andrebbe realizzato un sistema di sorveglianza efficace e indipendente delle fondazioni di previdenza e indurre così una riduzione dei costi di gestione.

Al di là di questo possibile intervento, come è pensabile (senza toccare il tasso di conversione ed evitando speculazioni eccessive nella politica d'investimento) garantire a lungo termine il finanziamento del II pilastro? Come è possibile distribuire la torta ad un maggior numero di invitati senza tagliare fette più piccole?

«Invece di affermare che la torta non basta più bisognerebbe trovare soluzioni per ingrandirla. Si può per esempio ipotizzare di rivedere i parametri di obbligatorietà della cassa pensione, riducendo il limite salariale minimo e aumentando quello massimo (20.520 rispettivamente 82.080 franchi, ndr) o con una maggiore imposizione fiscale per certe settori e determinate operazioni finanziarie. Prendiamo per esempio: la "tassa di responsabilità per la crisi finanziaria" proposta dal presidente statunitense Obama (che colpirebbe banche, compagnie di assicurazione e società di brokerage). Per Credit Suisse e Ubs essa comporterebbe una maggiore imposizione di un miliardo di franchi. Anche in Svizzera ci vorrebbe il coraggio di valutare un'ipotesi di questo genere, anche più moderata ma simile. Perché la ricchezza esiste: basta saperla trovare. E gli eventuali problemi di deficit delle assicurazioni sociali sarebbero risolti.

 

 

 

Glossario

Tasso d'interesse tecnico (Tit): È quel valore che indica il rendimento annuo medio di un capitale che una compagnia assicurativa spera di realizzare sul lungo termine. Esso viene utilizzato per calcolare le prestazioni e i premi necessari a questo scopo. Nel caso della previdenza professionale deve oscillare (secondo la relativa ordinanza) tra il 3,5 e il 4, 5 per cento. Con esso viene remunerato, a partire dal pensionamento, il capitale di vecchiaia risparmiato. Il suo valore può essere modificato solo fino al raggiungimento della pensione, dopodiché rimane invariato. Un aumento rispettivamente una diminuzione del Tit comporta un aumento rispettivamente una riduzione del Tasso di conversione in rendita. Il Tit e la speranza di vita sono i parametri principali che determinano il tasso di conversione. Secondo uno studio del Credit Suisse, una diminuzione del tasso tecnico dello 0,5% ha un'incidenza dello 0,3% sul tasso di conversione.

Pubblicato il 

29.01.10

Edizione cartacea

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