"Meglio colpevoli che da presunti innocenti"

Il rumore delle inferriate mentre si chiudono alle tue spalle provoca sempre una strana sensazione. Una leggera inquietudine ti assale. Se succede anche quando stai semplicemente entrando per una breve visita, figurarsi da indagato.
La privazione della libertà, pur se in condizioni materiali decenti come nel caso dei penitenziari elvetici, rimane pur sempre una dura esperienza. «Quando sento dire che la Stampa è un albergo a cinque stelle, vorrei chiedere a questa persona se troverebbe gradevole restar chiuso in una stanza di un grande albergo per degli anni», racconta Luisella De Martini, responsabile dell'Ufficio dell'assistenza riabilitativa della divisione della giustizia.
Ancor peggio, immaginiamo noi, deve essere rimanere in pochi metri quadrati per 23 ore al giorno senza poter parlare con nessuno, magari per dei mesi, come può capitare alla Farera. È la detenzione preventiva, cioè quando si è in attesa di un eventuale processo e il magistrato inquirente ha disposto delle misure straordinarie privative della libertà ai fini dell'inchiesta. Per evitare che l'indagato possa occultare prove mentre è in carcere, il magistrato può vietare ogni contatto con altre persone senza la sua autorizzazione. Una precauzione ragionevole per accertare la verità e gli eventuali gradi di responsabilità di una persona in un reato. Ma una misura che potrebbe diventare anche una potente arma ricattatoria, se utilizzata oltre il necessario.
È quanto ci hanno raccontato, o meglio denunciato, alcuni detenuti. «Restare da soli per dei giorni che diventano mesi, ti scombussola fortemente la mente. Incominci a parlare da solo e, quel che è peggio, a risponderti come se fossi un'altra persona. Mentalmente ti senti molto disturbato, debole e insicuro" racconta Giuseppe*, oggi alla Stampa dopo qualche mese iniziale alla Farera. «E questo i magistrati lo sanno. "Parla, confessa e vedrai che passi subito alla Stampa, dove si sta meglio" ti dicono. E alla fine lo fai, forse anche addossandoti colpe non tue purché finisca l'isolamento». Una subdola tortura psicologica, come arriva a definirla il nostro interlocutore. E non è il solo. "Radio-carcere" diffonde subito la presenza di un giornalista disposto ad ascoltare. Durante i nostri frequenti incontri, altri detenuti si avvicinano per raccontare al cronista quanto sia duro il regime della Farera. «Molto meglio da condannati che da presunti innocenti» affermano, spiegando come anche l'ora di passeggio a cui avrebbero diritto in regime preventivo si rivela difficoltosa. «Non è regolare, dipende dai turni degli agenti e dalla loro disponibilità. Lo spazio poi dove farla è piccolo e sul tetto senza coperture. Così, quando piove o nevica, a volte rinunci anche a quell'ora d'aria» raccontano i vari interlocutori.
La loro descrizione trova parziale conferma nel rapporto della Commissione nazionale della prevenzione della tortura (Cnpt), l'organismo federale che visita gli istituti di reclusione elvetici stilandone un giudizio e consigli per risolvere i problemi riscontrati. Nella loro relazione sulla visita alla Farera dello scorso novembre si può leggere: «Diversi detenuti hanno affermato che le ore di passeggiata variano in funzione degli orari degli agenti. Altri hanno sottolineato che rinunciavano regolarmente alla passeggiata e preferivano rimanere nelle loro celle, viste le limitate possibilità di movimento». Se una persona costretta a restare in uno spazio angusto per 23 ore rifiuta l'ora di passeggio, è lecito nutrire dei dubbi sull'adeguatezza dello spazio.
Ma è sulla durata della detenzione straordinaria, quella che implica le 23 ore in cella da soli e senza attività, che la Cnpt esprime osservazioni critiche. «Una condizione accettabile solo per un breve periodo» – scrive nel suo rapporto, aggiungendo: «Abbiamo incontrato due detenuti che sono rimasti per 6 mesi e 10 mesi in questo tipo di regime carcerario". Dieci mesi equivalgono a restare isolati in cella 23 ore al giorno per oltre 300 giorni. Il Consiglio di Stato nelle sue osservazioni al rapporto afferma: «Solo pochi casi di detenzione preventiva oltrepassano i due mesi e pochissimi i tre mesi". Area ha provato a chiedere alle autorità cantonali di specificare il numero dei casi, ma hanno declinato la risposta in attesa che fosse pubblicato il rapporto della Cnpt su Internet (uscito il giorno in cui questo giornale è andato in stampa).
All'avvocato Marco Mona, membro della Cnpt che ha visitato il penitenziario ticinese, abbiamo chiesto di specificare il concetto di breve durata in cui sia accettabile questo trattamento. Sebbene la Commissione stia ancora definendo con precisione il concetto di "breve durata", l'avvocato Mona ritiene personalmente accettabili «due o tre settimane al massimo. Due mesi non sono sicuramente accettabili» (si veda intervista nella pagina a lato).
Sulla denuncia dei detenuti di un uso ricattatorio del carcere preventivo, Mona specifica che si tratta di «un'accusa pesante, che non è stata sollevata da nessuno nei nostri colloqui coi detenuti».
Va però rilevato che il rischio teorico di un abuso del carcere preventivo è stato preso in considerazione dal legislatore, che ha preso delle precauzioni.  
Già nel passato il Ticino, unitamente a pochi altri cantoni, aveva previsto la figura del giudice dell'arresto quale garante di un corretto uso della carcerazione preventiva. Con l'entrata in vigore del nuovo Codice penale, questa istanza superiore a garanzia dei diritti degli indagati è diventata obbligatoria anche nel resto del paese con l'istituzione del giudice dei provvedimenti coercitivi. Inoltre, per tutelare maggiormente la persona in detenzione preventiva, il nuovo Codice penale ha pure introdotto il principio di "avvocato della prima ora", ossia l'obbligo di presenza di un legale fin dai primi interrogatori successivi all'arresto. Un'ulteriore misura garantista a cui la gran parte dei detenuti da noi incontrati o ascoltati per telefono non aveva potuto beneficiare perché non ancora in vigore. Resta il fatto, incontestato da tutti, che la carcerazione preventiva di 23 ore isolati dal resto del mondo ha un pesante influsso sulla psiche della persona. «Quello che ricorderanno i detenuti della loro carcerazione è sicuramente il periodo passato in detenzione preventiva», chiosa Luisella De Martini, responsabile dell'Ufficio dell'assistenza riabilitativa.

*nome di fantasia

Pubblicato il

31.08.2012 01:30
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