Lavoro e dignitĂ 

A gennaio Maurizio Landini veniva eletto segretario generale della Cgil da una maggioranza ben più ampia di quella consolidata durante la sua esperienza alla guida della Fiom. Siamo in autunno, è passato un periodo troppo breve per azzardare un bilancio, si può dire che l’ex leader della Fiom sia ancora in rodaggio. Eppure, non si appella ad alcun emendamento, non si avvale della facoltà di non rispondere.

Cosa si aspettava di trovare in Cgil, cosa ha trovato e cosa no?
Cercherò di essere sincero. Tutta la mia vita precedente l’ho vissuta dentro una categoria, da operaio saldatore fino al vertice Fiom. Un’esperienza entusiasmante. Prendere in mano la Cgil è la cosa più difficile che mi sia capitata. Io per primo, e tutti noi dobbiamo entrare in un’ottica più generale, superando settorialismi e compartimenti stagni. Prima considerazione: non esiste in Italia un’organizzazione come questa, capace di raccogliere oltre 5 milioni di uomini e donne che la sostengono investendo l’1% dello stipendio. Ogni anno le nostre strutture entrano in contatto con 10-12 milioni di persone. Dobbiamo valorizzare ancor più gli uomini e le donne che scelgono di farsi rappresentare da noi, far crescere la partecipazione. I nostri delegati – una ragnatela di democrazia – non devono limitarsi a rispondere alle richieste di chi ha problemi sul lavoro; rovesciamo la logica, i problemi e le persone vanno cercate dove stanno e la soluzione va trovata insieme. Il sindacato di strada è lo strumento adeguato a incidere sulla realtà e cambiarla garantendo i diritti di chi lavora. La confederalità è fondamentale per coinvolgere tutte le categorie e metterle al lavoro per scandagliare il territorio, cercare le ingiustizie, le diseguaglianze di trattamento per persone che svolgono la stessa mansione ma non hanno gli stessi diritti e gli stessi contratti, ma salari, orari, pause, integrativi diversi, chi ha la mensa e il parcheggio e chi deve pagare l’una e l’altro. Visitando un grande ospedale mi sono trovato dentro una giungla. La competizione dev’essere con chi sta in alto e non rispetta la dignità di chi lavora e non tra lavoratori. La confederalità è passarsi la palla, battersi per garantire a tutti gli stessi diritti contrastando la logica inaccettabile su cui si fonda il jobs act. Con coraggio dobbiamo ridiscutere insieme cosa, come, dove produrre, mettendo al centro la sostenibilità ambientale.


Landini non fa la maestrina analizzando pregi e difetti del sindacato che dirige, preferisce indicare la direzione di marcia e lo fa con l’esempio diretto.
Per raggiungere obiettivi importanti serve l’unità sindacale. Ma non esiste unità che non parta dal basso, dall’unità dei lavoratori. Più facile a dirsi che a farsi, per le conseguenze di divisioni, rotture, incrostazioni burocratiche, per la frantumazione della filiera lavorativa.


Contrattazione inclusiva e sindacato di strada sono un’alternativa o un’evoluzione della “coalizione sociale” che aveva lanciato da segretario Fiom? Quella proposta aveva messo in moto speranze, forse più all’esterno che nel sindacato, ma si è arenata. Presupponeva un’apertura delle Camere del lavoro al territorio, ai soggetti colpiti dalla crisi, alle pratiche di opposizione e resistenza alle politiche neoliberiste. Qual è il bilancio di quella proposta?
Non era chiara la finalità sindacale, non eravamo stati capaci di presentarla nel modo giusto. Ho passato troppo tempo a smentire chi mi chiedeva quando mi sarei lanciato in politica, come se la coalizione sociale nascondesse un partito in luce. Così alla fine è stata lasciata cadere.


Forse non basta mettere insieme leader riconosciuti nel mondo dell’impegno sindacale, sociale, ambientale, pacifista per far scoccare la scintilla…
Questa è la ragione principale del venir meno della proposta: non si può partire da un accordo tra gruppi dirigenti senza mettere prima in moto una partecipazione straordinaria delle persone, un lavoro collettivo, la messa in comune di pratiche ed esperienze differenti ma indirizzate verso gli stessi obiettivi. Il nostro compito principale, oggi, resta la ricostruzione della solidarietà tra le persone.


Lei sostiene l’autonomia del sindacato da padroni, partiti e governi, la sua indipendenza. Oggi parlare di governo amico o ancora di più di partito di riferimento farebbe sorridere: governi amici non esistono e di partiti di riferimento non se ne vede neanche l’ombra. Semmai, il problema è la fine della rappresentanza politica dei lavoratori.
Il patto di Roma del ’44 che diede forma alla Cgil come sindacato indipendente fu siglato dai principali partiti antifascisti, Pci, Psi e Dc. Oggi di quei partiti non ce n’è più neanche uno. La rottura della rappresentanza dei lavoratori fa sì che per la maggioranza dei giovani non significhino nulla le parole destra e sinistra. Le famiglie storiche della sinistra sono in crisi in tutt’Europa, ma quei partiti non si chiedono il perché. Eppure, non ci vuol molto a capire che se un partito fa una legge come il jobs act che colpisce la dignità dei lavoratori autorizzando e monetizzando i licenziamenti ingiusti, poi il suo consenso elettorale crolla. Mi chiedono come mai tanti iscritti alla Cgil votino altri partiti, magari populisti, o non vanno a votare. Al contrario, dovrebbero chiedersi come mai così tante donne e uomini delusi dalla politica e dalla sinistra, in Cgil si sentono a casa loro.


La Fiom e la Cgil si battono per la democrazia sindacale e la regolamentazione della rappresentanza sindacale, con quale fine?
Tornando da un’iniziativa mi sono fermato a un autogrill per un caffè. Mi ha servito un compagno della Cgil che mi ha detto: noi qui abbiamo contratto e diritti, nell’esercizio dall’altra parte della strada hanno un contratto pirata con meno diritti di quelli che ho io, siglato da un sindacato inventato per l’occorrenza. È uno stato di cose sempre più diffuso che deve finire.


Le è stato appena consegnato il premio ‘Bella Ciao’ per l’impegno nel legare i diritti dei lavoratori alla tenuta della democrazia. Quali sono i principi di un sindacato antifascista e antirazzista?
La solidarietà, l’accoglienza, il salvataggio dei migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo, in fuga da guerre, dittature, carestie e fame. Il nostro problema sono le centinaia di migliaia di giovani senza prospettive che scappano all’estero e non i migranti che sbarcano sulle nostre coste. E l’uguaglianza: se il 10% possiede in Italia il 50% dei patrimoni, chiedere un contributo del 5% ai più ricchi sarebbe un atto di giustizia rispondente al mandato costituzionale. I soldi vanno presi dove sono, non dalle tasche di lavoratori e pensionati, gli unici a pagare le tasse. Digitalizzazione e riduzione del danaro circolante, lotta all’evasione fiscale, ecco cosa chiediamo ai governi, che si chiamino Renzi, Conte 1 o Conte 2.


Molti non comprendono l’opposizione Cgil al salario minimo proposto dal M5S.
Semplice, noi siamo per il salario massimo. Non è una battuta, è un modo per dire che vanno garantite a tutti le stesse voci salariali previste dai contratti nazionale e di categoria, maternità, straordinari, ferie. Solo così possiamo accettare una legge sul salario minimo. L’Italia è uno dei pochi Paesi a godere di due livelli salariali, è una conquista che va difesa ed estesa a tutte le persone che lavorano, a tempo indeterminato, a termine, a part-time, in somministrazione, a partita Iva e via dividendo. Senza queste garanzie il salario minimo sarebbe utilizzato per demolire i due livelli di contrattazione, obiettivo dei padroni e dei governi di ogni colore che si sono succeduti.

Pubblicato il 

10.10.19
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