Può togliermi le vacanze?

Da ottobre a gennaio sono stata in congedo maternità. A febbraio ho ripreso il lavoro con la stessa percentuale d'impiego che avevo prima della nascita di mio figlio. Quando la scorsa settimana ho voluto pianificare qualche giorno di vacanza per Pentecoste, il mio capo mi ha detto che non ho più diritto a nessun giorno di ferie per via del congedo maternità. È giusto?

No. È vero che i datori di lavoro possono ridurre il diritto alle ferie dei loro dipendenti se questi non possono fornire la loro prestazione lavorativa a causa di una malattia, di un infortunio, dell'adempimento di un obbligo legale o dell'esercizio di un pubblico ufficio. A tutti coloro che per questi motivi sono assenti per più di un mese viene ridotto di un dodicesimo il diritto alle ferie per ogni ulteriore mese completo di assenza. All'art. 329b del Codice delle obbligazioni (Co), dove è fissata questa norma, si stabilisce anche in quali casi non può essere ridotto il diritto alle ferie. Così dall'introduzione dell'assicurazione maternità il datore di lavoro non può ridurre le vacanze di una lavoratrice che, causa gravidanza, è impedita di lavorare per due mesi al massimo o ha fruito del congedo maternità. La riduzione delle vacanze nel suo caso non è dunque ammissibile. Il suo diritto alle ferie le dev'essere riconosciuto dal suo capo.


Devo dire che sono incinta?

Sono disoccupata e ho inoltrato la mia candidatura per un posto messo a concorso. So da poco di essere incinta. Cosa devo fare se mi si chiede se sono incinta? Lo devo dire ai miei potenziali superiori in occasione del colloquio di assunzione?

No, non deve. È vero che sia lei che il suo potenziale datore di lavoro siete soggetti fin dal primo contatto, cioè già prima della stipulazione del contratto di lavoro, al principio della buona fede. Siete cioè tenuti a comportarvi in maniera leale e corretta. Da questo principio deriva un obbligo d'informazione. Se quest'obbligo viene violato (per esempio se lei nel suo dossier di candidatura mente consapevolmente sulla sua formazione) ecco che ne può derivare un obbligo di risarcimento del danno. Fino a dove si estenda l'obbligo di fornire informazioni di chi si candida ad un posto di lavoro è però una domanda difficile e alla quale non è possibile dare una risposta generale. I datori di lavoro hanno sempre e solo il diritto a chiedere informazioni che sono rilevanti per il posto di lavoro in questione. Il limite è posto dalla tutela della personalità delle lavoratrici e dei lavoratori. Il rifiuto di assumere una donna a causa di una maternità rappresenta in linea di principio una discriminazione sessuale ai sensi dell'art. 3 della Legge sulla parità dei sessi. Per questo in una procedura di assunzione il datore di lavoro non può neppure chiedere se la candidata sia incinta. Se lo dovesse fare, lei può rispondere di no, ricorrendo alla menzogna quale legittima difesa. E non è neppure tenuta ad accennare alla sua gravidanza nel caso in cui non le sia direttamente rivolta la domanda. C'è però un'eccezione: per esempio se lei si è candidata ad un posto di modella o di ballerina. In questo caso la domanda se lei è incinta sarebbe giustificata.

Pubblicato il 

19.05.11

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