Manifesto verde

I Verdi svizzeri hanno un nuovo “Manifesto”. Esso riassume il credo politico del partito ecologista ed è stato approvato sabato dall’Assemblea dei delegati. Punti forti sono un reddito minimo di 3 mila franchi al mese, una forte riduzione dei tempi di lavoro e il pensionamento flessibile a partire da 60 anni. In politica ambientale i Verdi propugnano una rapida uscita dal nucleare, il divieto delle manipolazioni sugli embrioni e degli organismi geneticamente modificati in agricoltura, il contenimento del traffico internazionale di autocarri e di aerei e il massiccio aumento del prezzo della benzina. Chiesta infine la regolarizzazione collettiva dei “sans papiers”. Sul senso di questo “Manifesto” per i Verdi svizzeri e sulle loro prospettive elettorali per il 2003 si esprime il segretario generale del partito Hubert Zurkinden. Signor Zurkinden, qual è l’elemento di novità del “Manifesto” per i Verdi? La novità principale è che le posizioni politiche dei Verdi vengono riassunte in un testo breve. Certo finora c’erano piattaforme elettorali, tesi di fondo, testi per la discussione interna, ma non un testo di presentazione dei Verdi di facile accesso. Nel “Manifesto” quindi non ci sono contenuti nuovi. Di nuovo c’è che i diversi aspetti della politica dei Verdi, come la politica ambientale, la politica sociale e la politica economica, vengono presentati unitariamente e con pari dignità. Troppo spesso si riducono i Verdi ad un partito attento soltanto ai problemi ambientali, mentre siamo molto presenti ad esempio sui temi della parità uomo-donna, sulle questioni fondamentali della democrazia, sugli aspetti centrali della qualità di vita. Il “Manifesto” ci presenta come un partito che ha una concezione politica complessiva. Si può dire che con il “Manifesto” i Verdi si collocano ora più a sinistra? Questa è sempre una domanda difficile… L’impressione è giusta nella misura in cui il “Manifesto” si apre con una serie di punti concernenti la politica sociale ed economica, come la redistribuzione di beni e diritti o la riduzione del tempo di lavoro, esposti con un linguaggio molto radicale: chi non conosce bene la nostra attività politica svolta finora può ritenere che intendiamo dare maggior peso a queste tematiche. In realtà però siamo sempre stati molto a sinistra, solo che non ce lo si è voluto riconoscere: ma il lavoro svolto dalla nostra frazione parlamentare a Berna dimostra che quella dei Verdi è sempre stata una coerente politica di sinistra, e questo è ancora più evidente con l’attuale composizione del gruppo. All’Assemblea dei delegati c’è chi ha però criticato un eccessivo radicalismo del “Manifesto”. È vero, c’è stata qualche discussione perché alcuni delegati ritenevano la formulazione sui temi della politica economica e del capitalismo troppo radicale, ciò che avrebbe potuto farci apparire come nemici dell’economia. Ma è un rimprovero assurdo: non si può essere amici o nemici dell’economia, si possono però avere visioni diverse su come gestire lo sviluppo economico. La vostra ambizione per le elezioni federali del 2003 è di guadagnare tre o quattro seggi al Consiglio nazionale. A spese di chi? Non conosco esattamente la situazione nei singoli Cantoni per rispondere con esattezza. Possiamo guadagnare un seggio sia nel Canton Vaud che a Zurigo, dove le elezioni comunali hanno rivelato per noi un buon potenziale di crescita a scapito di evangelici e piccoli partiti della sinistra. Anche nella Svizzera romanda posso immaginare una crescita a spese dei piccoli partiti della sinistra, come Pop o SolidaritéS. Ma noi vogliamo che la sinistra nel suo insieme diventi più forte. E credo che ci sia una buona percentuale di elettori di sinistra che non vanno più alle urne perché considerano il Pss e i Verdi troppo poco profilati: è qui che vorremmo recuperare voti dimostrandoci un partito completo, credibile e di sinistra, una forza sicura accanto al Pss. E i contadini, abbandonati dall’Udc, non sono un potenziale serbatoio di voti? Sì, e ne stiamo anche discutendo internamente. Certo i contadini elettoralmente non sono molti, ma il loro peso politico è grande. Non abbiamo ancora una linea chiara. Alcuni, come Fernand Cuche, sostengono una linea più sindacale, vicina agli interessi dei contadini in quanto lavoratori. Altri, come Ruedi Baumann, vogliono un riorientamento più ecologico dell’agricoltura, che dovrebbe così sapersi reggere da sola sul mercato. Cosa differenzia ancora i Verdi dal Pss? I Verdi hanno una concezione politica propria e autonoma. Il Pss è ancora un partito molto attento ai temi sociali e del lavoro. I Verdi invece fin dall’inizio hanno integrato il pensiero ambientalista nella loro azione politica, sia in ambito economico che sociale. La differenza si è vista nel dibattito su Swissair: se per i socialisti la compagnia aerea era da salvare per i posti di lavoro che garantisce, per noi si trattava anche di attirare l’attenzione su un sistema di trasporti ecologicamente molto discutibile. E se si guardano le crisi planetarie, che correlano distruzione ambientale e povertà, si capisce che una visione globale come la nostra sarà sempre più centrale nel ventunesimo secolo.

Pubblicato il

30.08.2002 04:00
Gianfranco Helbling