Con lo slogan «Salvate Safiya dalla lapidazione», da qualche mese è in atto in diversi paesi occidentali una vasta mobilitazione che vede coinvolti singoli, sostenuti da personalità di rilievo del mondo della cultura e dello spettacolo, e associazioni, specie umanitarie, come Amnesty International. Un destino segnato Safiya Hosseini Tungar- Tudu è una donna nigeriana di trent’anni. Sua imperdonabile colpa è quella di aver messo alla luce una bambina, frutto della violenza subita da un amico del padre, al di fuori dei vincoli matrimoniali. Tre volte sposata, tre volte ripudiata, sua massima disgrazia è poi quella di essere cittadina di Kanu, nel nord della Nigeria, Stato in cui è in vigore la sharia, la legge islamica. In base alla sua più stretta osservanza, Sayifa deve essere lapidata. Il macabro rituale prevede che la donna venga sepolta in una buca sino al seno. A prenderla poi a sassate sino alla morte saranno i volontari della polizia religiosa, che si sono dati per missione la vigilanza sui vizi e le virtù dei «credenti», ma anche di chi non crede affatto o di chi preferisce rivolgere le sue preghiere ad un altro essere divino: la sharia, legge di Stato, vale per tutti e tutti sono tenuti a rispettarla. Safiya è finora scampata in quanto il giudice le ha concesso una dilazione per permetterle dapprima di partorire e quindi di allattare il suo bambino. Ma il tempo concesso a Safiya (144 giorni a partire dal parto) sta per scadere. La mobilitazione in corso in diversi paesi del mondo, un primo successo lo ha ottenuto: il presidente nigeriano Obasanyo ha reso noto che la pena capitale è stata sospesa ed ha ricordato che contro le sentenze delle corti islamiche è sempre possibile inoltrare ricorso a quella federale, che nei suoi codici non prevede la pena capitale. Ciò non toglie che negli Stati dove è stata introdotta la sharia (dodici, tutti del Nord, sui trentacinque che formano lo Stato federativo della Nigeria), la pena di morte venga applicata. È di inizio anno la notizia dell’impiccagione nella città di Kaduna (capitale dell’omonimo Stato) di un uomo riconosciuto colpevole dell’assassinio, a pugnalate, di una farmacista e dei suoi due figlioletti. Inizialmente, i giudici avevano deciso che il pluriomicida venisse finito a pugnalate, come aveva fatto lui con le sue vittime, ma poi per tema di nuovi disordini di piazza, le autorità hanno optato per la più tradizionale forca, che è al di sopra delle discriminazioni religiose. La legge del taglione La legge del taglione continua a essere un punto di riferimento per i giudici islamici nigeriani. Ricordo di aver letto la scorsa estate di un processo in corso a Kanu in cui un uomo, che aveva perso un occhio a causa di un’aggressione, aveva chiesto l’ablazione di un occhio del colpevole della violenza, rinunciando al risarcimento offertogli di 50 cammelli. Non so come poi la vicenda sia finita, in quanto il governatore dello Stato, al quale il colpevole del ferimento si era rivolto perché non venisse applicata la sentenza del giudici, aveva la possibilità di annullare la decisione. Mi è sfuggita, se mai le nostre agenzie di stampa si sono preoccupate di seguire la vicenda, la sua conclusione. La sharia che vige nel nord della Nigeria non differisce di molto da quella, che tanta indignazione ha sollevato specie dopo gli attentati dell’11 settembre, in vigore nell’Afghanistan. Sono vietati i locali notturni e l’alcol, le donne devono indossare il velo, sono state abolite le squadre di calcio femminili, ed è stata introdotta le separazione dei sessi sui mezzi pubblici, nelle scuole. A stemperare gli ardori sessuali al di fuori del matrimonio, ci sono fruste, bastoni, ed anche le pena di morte, come nel caso di Safiya, pena capitale prevista per le adultere. Le scarse notizie di cronaca che giungono da quelle regioni non ci permettono di avere un’idea precisa della portata della repressione oscurantista. Sono noti solo i casi più clamorosi, come quello della 17enne Bariya Magazu (dello Stato di Zamfara) che per avere avuto rapporti prematrimoniali è stata condannata a 170 frustate, pena inflitta allorché la ragazza era incinta e la cui esecuzione è stata quindi rinviata a 40 giorni dopo il parto. Negli Stati di Kanu e di Katsina è imposta la separazione dei sessi nei luoghi pubblici, ma anche privati, a patto, ovviamente, che non si tratti di nuclei familiari. E può capitare che donne siano fermate e arrestate dagli zelanti volontari della polizia religiosa per essersi intrattenute a parlare con uomini lungo la strada. Il bastone della legge Come dicevamo, la legge si applica a tutti, indistintamente. Così a un cristiano, di etnia Ibo, militare a Kanu, è successo di ricevere un’ottantina di bastonare per essere stato visto bere alcol in una caserma dell’esercito. L’introduzione della sharia e la sua applicazione anche a cristiani e animisti da tempo è causa di feroci scontri interreligiosi, che in molti casi sono al contempo anche intercomunitari. Ma è certo che l’applicazione rigida della legge coranica non fa altro che alimentare le tensioni interetniche e sociali e costituisce uno dei principali motivi degli scontri che si rinnovano periodicamente. Chiese e moschee vengono date alle fiamme, i negozi sono saccheggiati e spesso, come è successo lo scorso settembre a Jos, nel centro della Nigeria, è stato necessario l’intervento dell’esercito per fermare la carneficina. In questo caso le violenze erano state scatenate dai cristiani, largamente maggioritari, in segno di protesta per la nomina di un musulmano a una carica governativa. Da notare che le migrazioni interne dei cristiani, che fuggono dagli Stati sottoposti alla sharia, alimenta la protesta. Il presidente Olusegun Obasanjo, un cristiano, evita di intervenire con decisione, nel timore di vedere precipitare il paese nella disgregazione e continua a rivolgersi a cristiani e musulmani esortandoli alla pacifica convivenza. Ma questa appare sempre più difficile e intolleranza e fanatismo continuano a crescere. La spirale della violenza Cosa che non deve stupire, visto come le religioni monoteiste, specie in particolari condizioni sociali e politiche (la Nigeria sta attraversando una difficilissima crisi economica, il governo civile non è riuscito a porre fine alla dilagante corruzione) predicando una verità unica, e considerando i credenti di altre fedi in errore, finiscono per alimentare la violenza. Quando poi cancellano la paura della morte con la promessa di una beatitudine eterna, la violenza rischia di diventare predominante. Ma qui il discorso si allarga, non riguarda più la sola Nigeria, e il richiamo alla necessità della lotta contro la miseria e l’ignoranza non conosce confini.

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11.01.02

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