Sappiamo così chi sarà e non sarà al Consiglio nazionale. Non sappiamo se qualcun al-tro poco democraticamente seguirà. Sembrerà fuori tempo parlarne, ma spingono due leciti motivi. Il primo è che una certa parte (monotonomamente la solita) ha fatto campagna elettorale, cartellonistica e mediatica, sulla purezza della Svizzera da salvare, che non andrà mai contagiata dalla mefitica avviluppante burocrazia europea. Il secondo è che l’arrivo in Parlamento di giovani formazioni dà qualche speranza sullo scrostamento di vecchie brutte consuetudini divenute ormai leggi. Bruxelles con i suoi tentacoli politici-burocratici è rimasta argomento elettorale ammaliante. Con un po’ meno di successo, a quanto pare. Tanto da dover dire: ci rivedremo tra poco, con votazioni “europee” specifiche. Un rapporto del Corporate Europe Observatory uscito qualche tempo fa e intitolato “La potenza di fuoco della lobby finanziaria” poteva fornire un interessante bersaglio. Vi si diceva, in sostanza, che il settore finanziario spende nei vari meandri politici-amministrativi di Bruxelles oltre 120 milioni di euro all’anno per attività di lobbying e che sono circa 1.700 gli addetti che si danno da fare per influenzare il processo decisionale e amministrativo-burocratico dell’Unione europea. Una mostruosa conferma, dunque. Da approfittarne. Ma forse è apparsa rischiosa perché accomunava Bruxelles e Berna. Per lobbismo si intende chi – persone o gruppi – mediante pressioni, anche illecite, su politici o funzionari, riesce ad ottenere provvedimenti legislativi o amministrativi in proprio favore. Lobbying (o fare lobbismo) è esercitare quell’attività. Si dirà che fa parte del gioco politico farsi ascoltare, avviare discussioni con i legislatori, cercare di persuaderli. Non c’è da stupirsi. Quando però rispetto ad altri settori (altre organizzazioni della società civile, consumatori, sindacati) il solo settore finanziario ha una “potenza di fuoco” 60 volte superiore, come risulta, c’è un’asimmetria che manda a ramengo credibilità politica e democratica. Per fare un esempio tra i molti forniti: in una discussione al Parlamento europeo su una Direttiva riguardante i fondi speculativi su cui si invocava maggior disciplina, 900 emendamenti sono stati redatti non da parlamentari, ma da lobbisti del mondo finanziario. La Direttiva sulla tassa delle transazioni finanziarie è così rimasta bloccata. Come in Svizzera. Ma che cosa c’entra la Svizzera? C’entra, perché quello stesso tipo di metastasi non è prerogativa di Bruxelles. Palazzo federale non ospita solamente 246 deputati. Esso è aperto ad oltre 400 invitati permanenti e a più di 150 ospiti occasionali, in quanto ogni deputato ha il diritto di attribuire due preziosi “badges” (distintivi o tesserini) di lunga durata alle persone di propria scelta e due “badges” giornalieri. Tempo fa l’insospettabile Neue Zürcher Zeitung ha indagato sui rapporti di interesse di quegli invitati consultando anche i registri di commercio: risultò che almeno 327 su 409 erano veri e propri lobbisti, magari fatti passare per parenti. Una commissione del Consiglio degli Stati ha respinto una proposta che chiedeva l’accredito obbligatorio di tutti i lobbisti e la pubblicazione degli interessi che difendono. Per la trasparenza, proclamata, mai applicata. C’è poi così tanta differenza tra Berna e Bruxelles? O, domanda più concreta o retorica, c’entrano qualcosa quei lobbisti con certe decisioni, ad esempio sulla finanza, sulla fiscalità, sulle assicurazioni, sui costi della salute, sull’uso del territorio, sul traffico, sulla politica dell’alloggio? |