Ma il tempo ci darà ragione

Nella società veloce nella quale ci troviamo a vivere, tutto accelera di continuo ed aspira qualunque situazione in un vortice frenetico. Diventano sempre più rapidi persino i processi solitamente lenti di cambio di mentalità o abitudini, sembra non esserci tempo più per nulla e per nessuno. Bisogna produrre qualcosa, fosse anche solo sul piano virtuale, per poi consumarla il più presto possibile. Il tutto accade in un lasso brevissimo di tempo ed è immediatamente classato nel passato (di moda), il che significa quasi in maniera inevitabile nella dimenticanza. Ci si scorda di volti ed eventi e persone, perché si perdono il senso delle realtà importanti e la memoria individuale, familiare e collettiva. Nei casi migliori, tale memoria è freddamente consegnata ai supporti informatici, i moderni sostituti dei neuroni cerebrali umani. Si frantumano i legami con il prima, per un dopo giunto troppo in fretta, costretti in una costante ed impietosa anticipazione degli avvenimenti. È la condizione esistenziale delle generazioni più giovani: la formazione ridotta al minimo per consentire una poco costosa entrata nel mercato del lavoro.
Una simile "fuga in avanti" ci sta conducendo verso una società senza futuro, costretta a marciare sul posto, in un'attualità il cui margine di manovra è strettissimo. La frenesia ha il sopravvento sulla riflessione e l'approfondimento, obbligando quelli che dovrebbero essere i personaggi principali dell'intera vicenda a permanere nella piatta superficialità, come muti telespettatori. Può essere la condizione determinata da una precisa scelta (definiamola per semplicità ideologica), che rischia però di condurre all'isolamento volontario, alla solitudine subita o all'indifferenza colpevole. È quest'ultima la tendenza in atto che maggiormente dovrebbe preoccupare, poiché denota disinteresse per la "cosa pubblica", per il cosiddetto bene comune (della collettività nella sua totalità e non solo per pochi prescelti!), per la salvaguardia di valori condivisi. Ne è una dimostrazione la partecipazione tutto sommato contenuta (il 48,4 per cento degli aventi diritto di voto, meno della metà) allo scrutinio di domenica. Ritengo limitata la rispondenza dell'elettorato nazionale soprattutto a causa dell'alta posta in gioco (le questioni complesse dell'immigrazione) e rispetto all'avvenire ed al passato della Svizzera. Se è sbrigativo sostenere che il 24 settembre ha perso la sinistra (come se l'argomento possa assumere un colore di area tanto esplicito!), accettando le due controverse Leggi i cittadini elvetici hanno mancato un importante appuntamento con la Storia. Come esseri svuotati di personalità si son lasciati infettare dalla perniciosa malattia dell'egoismo, della paura e della bugia. Tale patologia (di difficile cura, è vero!) sta tagliando i ponti con il domani, perché ignora volontariamente i debiti morali, politici, culturali e spirituali con quello che è stato ieri (un popolo di migranti). Il tempo darà ragione a chi, ciò malgrado, continua a credere che un mondo diverso, giusto e solidale è possibile.

Pubblicato il

29.09.2006 13:00
Martino Dotta