Ma che belle vacanze

Le ferie, un tempo riservate alle classi più fortunate che nella mitica “villeggiatura” affogavano la loro noia esistenziale, sono diventate negli ultimi cent’anni un fenomeno di massa e di costume. Spesso confuse con l’idea di viaggi e turismo, le vacanze sono in primo luogo un momento di distacco dalla vita produttiva. Per fare (o non fare) che cosa? Nelle quattro pagine di questo dossier cerchiamo di abbozzare una risposta, analizzando il fenomeno delle vacanze da diversi punti di vista. Vedremo così come regola la vacanza il diritto del lavoro, come sta economicamente il settore turistico, cos’è una vacanza responsabile, cosa significano le ferie per gli emigrati che le trascorrono al loro paese, come si apprestano ad accogliere i turisti gli Usa e l’Italia, per chiudere con una divertita analisi della tipologia dei turisti tedeschi, non senza aver messo in discussione l’idea stessa di viaggio. Apriamo però questo dossier riflettendo sugli aspetti mentali della vacanza, e lo facciamo intervistando la psicologa Anita Testa-Mader, ricercatrice in campo psicosociale, che si occupa tra l’altro di temi legati alla psicologia del lavoro, come lo stress, il mobbing, il burnout. Signora Testa-Mader, di quanto tempo ha bisogno una persona per ritemprarsi da un lungo periodo lavorativo? La prima risposta che mi viene in mente è “dipende”: dipende, oltre che da fattori come la disponibilità in tempo e finanziaria, dal contesto professionale, dalla persona… È una risposta banale, basata sul buon senso, ma che ha anche una base scientifica. Facciamo un passo indietro per capire qual è il contesto. Un’inchiesta del Seco (il Segretariato di stato all’economia) tra la popolazione attiva ha rilevato che in Svizzera nel 2000 il 27 per cento delle persone ha sofferto spesso o molto spesso di stress (donne 33 per cento, uomini 24 per cento) e che queste pressioni derivavano per il 58 per cento dal lavoro e per il 36 per cento dal lavoro e da fattori extra-lavorativi, con un forte aumento rispetto a precedenti inchieste del 1984 e del 1991. È stato anche accertato un peggioramento dello stato di salute della popolazione e un legame di quest’ultimo con lo stress. Com’è possibile associare la parola vacanza allo stress? Per spiegare ciò dobbiamo fare un altro passo indietro sul concetto stesso di stress: con una definizione relativamente semplice oggi si può dire che “una situazione di stress si verifica quando una richiesta dell'ambiente o interna mette alla prova o supera le risorse di adattamento della persona”. In altre parole quando di fronte a un cambiamento non basta più quello che è l’adattamento “normale”, quotidiano, di cui non ci accorgiamo neanche. È interessante sapere che negli anni 50 era stata elaborata una lista di situazioni di stress, composta di cambiamenti positivi o negativi, a cui veniva attribuito un punteggio, e tra questi era compresa la voce “vacanze”. Poi le ricerche hanno dimostrato che nello stress entra anche una componente soggettiva, ossia che alcune situazioni possono essere vissute in modi diversi a seconda della nostra personalità (se siamo ottimisti o pessimisti, se abbiamo una buona autostima o no, ecc.), delle esperienze precedenti, del tipo di supporto di cui possiamo disporre. Ma perché la vacanza può essere fonte d’ansia? Rappresenta un cambiamento, con tutto ciò che questo implica, e quindi una potenziale fonte di stress. Quindi per alcune persone è necessario un periodo di adattamento più lungo, per abituarsi a ritmi diversi, per altre anche pochi giorni possono essere utili a ritemprarsi. Ma più che la durata forse si tratta di scegliere bene il tipo di vacanza. Un lungo soggiorno al mare trascorso leggendo un libro sotto l’ombrellone risulta insopportabile per alcune persone che hanno bisogno di attività sportive, culturali o ricreative o di qualunque tipo, pur di “non stare lì a far niente”…, per altre invece il relax è proprio non pianificare nessuna attività. Ancora una volta si tratta di un problema di buon senso: se le attività diventano frenetiche, dettate dall’ansia di far qualcosa a tutti i costi, (e penso a certi centri di vacanze dove tutto è organizzato), bisognerebbe forse fermarsi un attimo a riflettere e vedere se è proprio di questo che il nostro organismo ha veramente bisogno, sia a livello fisico che psicologico. Flessibilità significa anche non sapere se si potrà andare in vacanza o meno, per quanto tempo e quando. Quali conseguenze possono derivare per una persona che vive questo stato d’incertezza? Negli ultimi anni la situazione di stress dei lavoratori e delle lavoratrici (e le relative conseguenze per la salute) è peggiorata e sicuramente la flessibilità gioca un ruolo importante in questo peggioramento. Due osservazioni: studiando lo stress si è visto che se una volta si prendevano soprattutto in considerazione i grandi eventi della vita (la morte, un incidente, un divorzio, la perdita dell’impiego, ecc.) più recentemente si è osservato che questi eventi sono particolarmente gravi se si accumulano in brevi periodi di tempo, se non sono previsti e se sono associati ad altri cambiamenti o effetti secondari. Ad esempio la perdita dell’impiego, oltre ad essere uno choc in sé, e comportare problemi psicologici per la persona colpita, può avere come conseguenze la necessità di cambiar casa, di cambiare il livello di vita, di rinunciare alle vacanze… Particolarmente penalizzati sono coloro che svolgono lavori su chiamata o interinali… Certo, si sa che anche senza che succedano eventi così importanti, possono essere gravi fonti di stress tutte le situazioni persistenti, insidiose, incerte, soprattutto se durano nel tempo. E le situazioni di lavoro precarie, oggi sempre più diffuse (lavoro su chiamata, lavoro interinale, ecc.) sono proprio caratterizzate dall’incertezza, sul presente e soprattutto sul futuro, e possono provocare situazioni di sofferenza psicologica, con o senza vacanze, come ha mostrato il recente studio di Christian Marazzi e Angelica Lepori. È vero che una vacanza troppo breve, dopo un lungo periodo lavorativo, può risultare paradossalmente “dannosa” (ci sono molte persone che, rilassandosi, si ammalano)? Sì, è vero, per i motivi che ho detto. Purtroppo non sempre si può scegliere la durata “ideale” delle vacanze. Si tratta di sfruttare al meglio il tempo a disposizione, secondo le possibilità. Direi che ciò che conta è il cercare di lasciare a casa le preoccupazioni derivanti dal lavoro (e non solo), “chiudere bene” insomma (gli esperti dicono: mettere in ordine la scrivania, sbrigare tutto quel che si può prima di partire, magari tenersi un giorno o due prima della partenza e al rientro…) e poi, una volta in vacanza, non voler strafare…. Cosa ci può dire del disagio che colpisce alcuni immigrati all’imminenza di un ritorno in patria per un periodo di vacanza? È un tema che meriterebbe un discorso a sé, altrimenti si rischia di semplificare. Breve- mente, se penso alle migrazioni tradizionali (nel nostro paese italiana, spagnola, portoghese…), le vacanze in patria possono effettivamente essere caratterizzate da molteplici aspetti emotivi, collegati in parte al “successo” del progetto migratorio rispetto alle aspettative proprie e dell’ambiente di origine oppure alla difficoltà di riadattarsi a abitudini diverse. Ho conosciuto situazioni in cui questa difficoltà si è manifestata soprattutto per le donne e le figlie, per le quali a volte è particolarmente difficile adeguarsi a modelli femminili che non riconoscono più come propri. Vi sono persone che reggono bene lo stress da lavoro ma poi si deprimono in vacanza… come mai? Lo stress non è necessariamente negativo, in giuste dosi. Seyle, considerato il padre delle ricerche sullo stress, ha detto che è “il sale della vita”. Si parla infatti di eustress, come fase positiva, in cui aumenta lo stress, ma aumentano anche salute e rendimento, e di distress (lo stress negativo), caratterizzato da dolore, afflizione, angoscia e da tutti i sintomi dello stress, che ben conosciamo. È come una curva, in cui fa male avere troppo pochi o troppi stimoli. Poi per ognuno/a è diverso il momento in cui lo stress diventa negativo, per alcune persone può essere proprio la mancanza improvvisa di stimoli, un po’ come può succedere in caso di pensionamento o, con modalità più gravi, di licenziamento. Nel caso delle vacanze, bisognerebbe imparare se possibile a “preparare” e organizzare le vacanze in modo adeguato e comunque chiedersi magari se davvero “reggere bene lo stress da lavoro” corrisponde a una fase positiva dello stress o se siamo invece sul filo del rasoio nel mettere alla prova il nostro limite massimo di capacità di gestione dello stress…

Pubblicato il

11.07.2003 03:00
Maria Pirisi