L'obiettivo di Christoph Blocher è chiaro: far bocciare alle urne il 26 novembre il miliardo di coesione. Ma non lo può dire apertamente: lui è in governo e la collegialità glielo impedisce. Così ecco che spara sugli africani, uno sport ben noto in casa Udc. Dicendo che i soldi investiti in Africa per l'aiuto allo sviluppo sono di fatto buttati via. Un'affermazione che ha fatto il 14 settembre di fronte alla Commissione degli affari politici del Consiglio nazionale. Pare abbia anche detto che gli africani sono tutti dei lazzaroni, ma questo i verbali (pubblicati mercoledì dal Blick) non lo riportano. Riportano invece altre perle del Blocher-pensiero, come questa: «oggi paghiamo 400 milioni di aiuto allo sviluppo soltanto in Africa. Sull'utilità non mi esprimo. Ma come uomo dell'economia non ne vedo». A maggior ragione se ne deduce quindi che non è il caso di spendere un miliardo in aiuto allo sviluppo ai paesi dell'est. Del resto, dopo le affermazioni del 14 settembre ma prima che queste diventassero pubbliche la Weltwoche, il giornale di corte di Blocher e della sua congrega, pubblicava un lungo servizio proprio sulla presunta inutilità degli aiuti allo sviluppo in Africa. Niente da dire, a far campagna non li batte nessuno.
A dir la verità però quando parla di Africa Blocher lo fa con cognizione di causa. In particolare con riferimento al Sudafrica. Ricordate l'apartheid? Dai primi anni '80 Blocher fu presidente del Gruppo di lavoro Sudafrica, una rete di esponenti dell'economia con forti simpatie a destra che, negli anni delle sanzioni internazionali contro il regime di Pretoria, lo sostenevano a spada tratta – per poter continuare a fare i loro affari in quel paese a scapito della popolazione nera, sfruttata e odiosamente discriminata dalla minoranza bianca. Come ricorda ancora il Blick, Blocher e camerati consideravano l'African National Congress del futuro presidente Nelson Mandela un'organizzazione terroristica. E nel loro bollettino pubblicavano tesi di un neonazista tedesco, membro dei Republikaner, secondo cui «all'uomo nero» sarebbe «completamente estraneo il pensiero a medio e lungo termine, la pianificazione, la capacità di affermarsi, lo si può definire vegetativo in senso lato».
Nemmeno vent'anni dopo, e senza mai aver rinnegato un pensiero, una parola o un'azione del suo passato in forte odore di razzismo, Blocher è finito in Consiglio federale. Chi il giorno della sua elezione in governo voleva ricordare sapeva benissimo di che pasta è fatto, e non si stupisce oggi di uscite come quella sugli africani o sulla presunta necessità di allentare l'articolo contro il razzismo. A far arrabbiare è chi, come il presidente dei radicali Fulvio Pelli, fa finta oggi di stupirsi, ma tre anni fa Blocher in governo ce lo mandò con convinzione. Blocher personifica in sé la negazione di tutti i valori che fanno la Svizzera e la sua cultura politica, fatta in primo luogo di solidarietà e rispetto per le diversità. Chi fra poco più di un anno e a ragion veduta tornerà a votarlo dimostrerà di condividerne la strategia eversiva: confermarlo in carica sarà peggio che averlo eletto.

Pubblicato il 

20.10.06

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