«Ripetute pressioni psicologiche» che si traducono in «minacce, insulti, sanzioni e sospensioni». Non è certo idilliaco il clima di lavoro nell’azienda pubblica Lugano Airport. A farne le spese, tre dipendenti costretti alle dimissioni per ragioni mediche e altrettanti sottoposti a un difficile percorso di recupero psicologico. Un terzo dei dipendenti (20 su una sessantina) seguiti dal Laboratorio di psicopatologia del lavoro. La direzione respinge le accuse «in oggettiva tranquillità».
«Il disagio c’è e va affrontato», parola di Marco Borradori, sindaco di Lugano e fresco di nomina quale membro del consiglio di amministrazione di Lugano Airport. La dichiarazione di Borradori è andata in onda al telegiornale serale di Teleticino dello scorso venerdì, giusto poche ore dopo il comunicato della direzione aeroportuale che negava tutto. «Informazioni basate su fatti inesistenti» recitava la nota stampa aziendale, riferendosi alla presa di posizione di Unia diramata nella mattinata dello stesso giorno. Nel giro di poche ore, una denuncia seguita da una smentita a sua volta smentita poche ore dopo. Vediamo di far chiarezza. Unia, il sindacato nettamente maggioritario allo scalo aeroportuale, aveva denunciato una situazione insostenibile per il personale dell’aeroporto. «Soltanto nell'ultimo anno – denuncia il sindacato –, Unia ha seguito tre ex-dipendenti dell’aeroporto costretti alle dimissioni per ragioni mediche e altrettanti che si sono dovuti sottoporre a un difficile percorso di recupero psicologico. A questo si aggiungono una decina di vertenze conseguenti ad ammonimenti, multe o sospensioni dal lavoro. Tutto questo in una realtà lavorativa che conta una sessantina di dipendenti, quadri e direzione esclusi». Il sindacato concludeva invitando la Città di Lugano e il Cantone a intervenire quali azionisti, organizzando una valutazione indipendente (audit) «con tutti i dipendenti che faccia chiarezza sulla situazione e l’adozione di tutte le misure che si imporranno». Il sindaco Borradori, subentrato al municipale Angelo Jelmini, sembra condividere l’approccio, o perlomeno non nega l’esistenza di un grave disagio tra il personale. Anche perché le prove ci sono. Da qualche mese, il Laboratorio di psicopatologia del lavoro di Lugano segue una ventina di dipendenti dell’aeroporto, un terzo del totale, per malesseri imputabili al pessimo clima sul posto di lavoro. Disagio rivelato pubblicamente dagli stessi dipendenti che, intervistati da Teleticino qualche settimana fa, denunciavano «ripetute pressioni psicologiche» che avrebbero subito sul posto di lavoro da parte della direzione nell’ultimo anno e mezzo. Nel servizio televisivo i dipendenti dell’aeroporto luganese riferivano di un clima di lavoro pesante, caratterizzato da «minacce, insulti, sanzioni e sospensioni». Mobbing si potrebbe definirlo. Un clima intimidatorio coinciso con l’avvio delle trattative per il rinnovo del contratto collettivo in scadenza a fine 2015. Mesi di trattative difficili, nel corso dei quali la direzione esigeva una libertà totale di flessibilità degli impiegati, imponendo turni spezzati illimitati e orari ridotti a suo piacimento. A questa ipotesi il personale si era opposto per mesi. Alla fine, di fronte all’alternativa concreta del vuoto contrattuale (già disdetto a suo tempo dalla direzione), s’impose la soluzione meno peggiore: un massimo di 80 i turni speciali che potranno essere imposti a un dipendente nell’arco di un anno. Sebbene abbia ottenuto un’ampia flessibilità tanto da poter disporre dei dipendenti a suo piacimento, il direttore aeroportuale Alessandro Sozzi pare non fosse ugualmente soddisfatto del risultato, dando avvio al pesante clima aziendale. Ora che il bubbone è scoppiato, la città di Lugano detentrice dello scalo all’87,5% (il resto è del Cantone) è chiamata alle sue responsabilità di datore di lavoro. «La Lugano Airport è una società anonima ma credo che certi principi devono valere anche lì» ha affermato Borradori.
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