«Diamo sostegno alle persone in difficoltà del quartiere da una ventina d’anni, ma devo dire che i numeri sono in crescita negli ultimi tempi» racconta ad area Mirella Weber, responsabile della Conferenza di San Vincenzo negli uffici della parrocchia del Cristo Risorto a Molino Nuovo. Quella di Molino Nuovo è una delle undici conferenze di San Vincenzo presenti sul territorio ticinese. Negli ultimi sette anni, i sostegni elargiti dalle Conferenze di San Vincenzo sono cresciuti di 200mila franchi, superando nel 2023 quota 600mila. «Non diamo mai soldi contanti, ma paghiamo le fatture o diamo del cibo» spiega Weber. Inutile dire che l’impennata maggiore l’abbia avuta la voce “Cassa malati e spese mediche”, con uscite più che raddoppiate dal 2016. A lievitare in maniera importante pure le voci “buoni acquisti”, “dono alimenti” e “affitti”. Salute, cibo e tetto, i bisogni essenziali dunque. «Un sostegno nel pagamento dell’affitto è una delle richieste che maggiormente riscontriamo nell’ultimo periodo» commenta Weber, la cui sola Conferenza di Molino Nuovo elargisce annualmente aiuti per circa sessantamila franchi. 

 

Dall’altra parte del fiume Cassarate, nel quartiere di Pregassona a farsi carico di questa povertà è lAssociazione Amélie, punto di riferimento per la comunità del quartiere. Da qualche settimana, ha lanciato una colletta alimentare per le famiglie o le persone singole in difficoltà economiche. «Al momento sono una quindicina, ma abbiamo la netta impressione che il numero sia destinato a crescere» spiega Marco Imperadore che, insieme all’amico Ihsan Alpen e ai membri di comitato, coordinano i sessantacinque volontari e volontarie che animano le numerose attività di cui fruiscono oltre quattrocento adulti e circa 250 tra adolescenti e bambini. Dal nulla, in meno di quattro anni, l’associazione è riuscita a costruire un senso di comunità che pareva ormai smarrito tra le vie oscurate dagli anonimi palazzi di Pregassona, abitato principalmente da persone del ceto medio basso. Una sfida più che riuscita. Basti dire che alla Festa dei vicini di Pregassona, lo scorso anno, vi hanno partecipato 1.500 persone.

 

Il cuore pulsante dell’Associazione, la sede Il Centro Amélie in via Ceresio, è luogo d’incontro, di ascolto, di supporto e di divertimento. Impossibile elencare l’impressionante numero di attività proposte, «sempre partite dal basso, da un bisogno espresso da chi frequenta i nostri spazi» spiega Imperadore. Così è stato anche per la colletta alimentare. Tra gli abitanti del quartiere, c’è chi ha chiesto del cibo per poter arrivare a fine mese. Finanziariamente l’Associazione Amélie riceve qualcosa da Città e Cantone, ma non copre tutto quanto offerto. Fondamentali sono i finanziamenti dei privati e il lavoro dei volontari. Stesso discorso per le Conferenze di San Vincenzo, i cui finanziamenti arrivano in gran parte da fondazioni e lasciti. 

 

Amélie e le Conferenze di San Vincenzo sono solo due esempi di una rete solidale ben più estesa nel cantone che rende visibile una povertà nascosta diffusa e in crescita nella ricca Svizzera. Lo attestano i pienoni registrati nei sedici punti di distribuzione di cibo del Tavolino Magico, le cifre in aumento di aiuti finanziari elargiti da enti storicamente attivi nel campo, dalle volontarie vincenziane (da non confondersi con le Conferenze), a Soccorso operaio svizzero, a Soccorso d’inverno svizzero e una sfilza di associazioni che privatamente cercano di attutire la povertà che colpisce la popolazione in Ticino. 

 

Verrebbe da chiedersi dove sia finito lo Stato sociale, una volta considerato punto d’orgoglio della società elvetica. La statistica ufficiale cantonale dice che le domande di assistenza sociale sono calate dal 2016 al 2023, segnando un leggero aumento nell’ultimo trimestre dello scorso anno. Discorso simile anche a Lugano, sebbene nell’ultimo periodo la crescita sia più importante, superando i 1.300 casi aperti di richiesta d’assistenza. Leggeri aumenti dell’assistenza pubblica che cozzano con l’esplosione di richieste d’aiuto all’associazionismo privato. 

 

«Questo proliferare di iniziative dal basso di solidarietà, per quanto apprezzabili, sono sintomatiche di una crisi di funzionamento, e magari di volontà, dello stato sociale» aveva detto poco tempo fa al nostro giornale l’economista sociologo Christian Marazzi, autore negli anni Ottanta del primo studio che rivelò l’esistenza di una povertà strutturale a livello cantonale. «Bisogna ripensare lo stato sociale. È strutturato su un mondo che non esiste più, incapace di affrontare le nuove povertà» aveva aggiunto Marazzi, sottolineando che «a venir meno è la funzione dello Stato quale perno della ridistribuzione della ricchezza». 

 

Già, la ricchezza. Se la povertà sta crescendo, cosa succede con la ricchezza? L’ultima risposta al quesito arriva dal recente studio del Centro di ricerche congiunturali del Poli di Zurigo con l’Università cittadina. Al pari di molti paesi, negli ultimi cinquant’anni in Svizzera la ricchezza è andata sempre più concentrandosi nelle mani di pochi. Gli studiosi si son chiesti quanto abbia inciso la scelta politica di diminuire progressivamente l’imposizione sulla sostanza sull’aumento della disuguaglianza nei ventisei cantoni nell’arco di cinquant’anni (1969-2018). La conclusione dei ricercatori è impietosa. «I tagli all’imposta patrimoniale negli ultimi 50 anni spiegano circa il 18% dell’aumento della concentrazione della ricchezza dell’1% più ricco in Svizzera». 

 

Il Ticino ha seguito il trend nazionale, seppur non in modo così radicale come ad esempio nel Canton Nidvaldo, dove la notevole riduzione delle tasse sulla sostanza ha portato l’uno per cento dei nidvaldesi più ricchi a detenere il 70% della ricchezza cantonale. Cinquant’anni prima, quell’uno per cento di nidvaldesi aveva “solo” la metà della ricchezza cantonale. Cifre che farebbero invidia ai latifondisti brasiliani.

 

E in Ticino? Sebbene nel corso degli anni la politica di sconti fiscali ai più ricchi sia stata meno radicale di quella nidvaldese (si devono ancora dispiegare gli effetti dell’ultima riforma fiscale a beneficio dei più facoltosi approvata in votazione lo scorso anno), dal 1991 al 2018, l’1% dei più ricchi ticinesi ha visto crescere la sua quota di ricchezza di sette punti percentuali, passando dal 32,5% al 40% di sostanza dell’intero cantone. I super ricchi invece, lo 0,1% della popolazione ticinese, nello stesso periodo sono passati dal detenere l’11,5 % della ricchezza cantonale al 17,5%. Se in Ticino i poveri piangono, i ricchi s’ingrassano. 

Pubblicato il 

27.03.25