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Lugano, la realtà dietro il dialogo

Dialogo, un nobile termine spesso abusato nella questione Centro sociale autogestito il Molino. Il Municipio luganese è tornato a invocarlo per definire «un’autogestione nel rispetto della legalità» al termine dell’imponente manifestazione dello scorso sabato, a sette giorni dalla loro decisione di inviar le truppe e quelle ruspe cariche di violenza simbolica all’ex Macello (una demolizione forse decisa autonomamente dalla polizia). In tempi recenti l’associazione culturale e non-profit Morel ha fatto del dialogo e della legalità il proprio punto fermo nei suoi rapporti con l’esecutivo. Ripercorriamone l'istruttiva storia.

 

L’associazione è nota per aver gestito dal febbraio 2017 all’estate 2019, l’omonimo centro culturale negli spazi di un’ex autoconcessionaria costruita nel centro città. Gli spazi erano stati loro concessi temporaneamente dal proprietario fino alla costruzione di tre nuovi lussuosi palazzi. Prima di approdare al Morel, ebbero diverse esperienze intermedie negli esercizi pubblici o in spazi privati di dimensioni modeste, tra cui il Casotto nel quartiere di Molino Nuovo, diventato celebre per le sue serate ben frequentate. «Le attività al Casotto funzionavano col passaparola, perché non potevamo renderle pubbliche. Una situazione assurda. Eravamo stufi di doverci nascondere quasi fossimo dei criminali solo perché proponevamo delle attività culturali» racconta Noah Sartori, presente fin dagli esordi dell’associazione.


La possibilità dello Spazio Morel coincise con la decisione dell’associazione di superare la clandestinità a cui erano relegati dal sistema legale e politico locale. Quando nel 2016 si accordarono col proprietario, «decidemmo fin da subito di voler instaurare un dialogo costruttivo con le istituzioni, dando la nostra massima disponibilità a collaborare per trovare una nuova forma in un quadro legale ancora assente, a tutela delle pratiche e delle necessità delle associazioni indipendenti senza scopo di lucro. Prendemmo dunque contatto con i funzionari dell’Ufficio dell’Edilizia Privata, presentando il progetto e per regolare le lacune strutturali del luogo».

 

La risposta, scoraggiante, arrivò nelle parole dei funzionari: «Lasciate perdere». I giovani invece non demorsero e, investendo tempo, energie e soldi negli spazi dell’ex garage, iniziarono le attività nel febbraio 2017. La rispondenza fu ottima, arrivando l’associazione a contare quasi tremilacinquecento affiliati.

 

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L’organo politico come reagì? «L’unica relazione fu la convocazione in polizia per un verbale» risponde Sartori. Solo il 6 dicembre 2017, a dieci mesi dall’inizio delle attività, e diverse lettere di richiesta d’incontro, il Municipio li convoca. «Era quanto desideravamo, instaurare un dialogo con le istituzioni per agire alla luce del sole nella legalità. Sul tavolo, l’argomento era come proseguire l’attività in un quadro legale. I municipali, dopo aver espresso grandi complimenti per la nostra offerta culturale e la gestione degli spazi, si dicono disposti ad accompagnarci nel processo legale. Dalla riunione, usciamo soddisfatti e fiduciosi».

 

Nelle ferie natalizie del 2017 il Municipio intima loro lo stop delle attività, in attesa che giunga il permesso temporaneo di mescita. Allo scadere delle ferie natalizie, all’inizio di gennaio 2018, l’associazione presenta l’incarto concordato con il Municipio a favore dell’ottenimento dei permessi speciali. Il rapporto con le istituzioni prosegue però a colpi di multe e verbali, seguito da alcuni scambi coi municipali dove la questione dei permessi stenta a trovare soluzioni.


La situazione si fa paradossale. Il prossimo evento in agenda era il Fresh Festival, in collaborazione col Dicastero Giovani ed Eventi, «col quale – precisa Sartori – abbiamo sempre avuto buone collaborazioni». L’evento si tenne ugualmente nonostante il divieto municipale e, casualmente, nessuna pattuglia si presentò. Nel mese successivo arrivò anche il permesso temporaneo della mescita consentendo di arrivare alla pausa estiva in un clima di relativa legalità.

 

Durante l’estate 2018 ci fu un altro incontro coi municipali, che indicarono nel cambio di destinazione dell’immobile l’unica soluzione per risolvere le problematiche legali. «Assicurandoci celerità nella pratica burocratica, e avendo trovato una linea di comune accordo sugli incarichi da prestare, accettammo volentieri». Ma spunta un ricorso di una vicina di casa. Il Municipio, resosi disponibile per promuovere un incontro conciliatorio, si tira indietro: “Non possiamo. È competenza cantonale”.

 

A marzo 2019, un nuovo incontro col Municipio sblocca altri tre mesi di permessi speciali, dopo continue multe e aperture di procedimenti penali a titolo personale e non associativo. Le attività si fermeranno poi, definitivamente, nell’estate 2019. A spegnere per sempre dialogo e speranze, le parole di un funzionario cantonale: «Un bel progetto ma legalmente irrealizzabile nel contesto attuale. L’unica via sarebbe stata la procedura ordinaria che si sarebbe conclusa ben oltre l’abbattimento della struttura».


A due anni di distanza, la struttura è ancora in piedi, triste e dismessa. Il dialogo con l’autorità cittadina e il desiderio di legalità dei promotori, non diedero alcun frutto. «In Ticino il quadro legale non consente alle associazioni senza scopo di lucro di promuovere cultura e aggregazione dal basso, poiché sono trattate alla stregua di una qualsiasi attività commerciale – spiega Sartori –. E non vi è nessuna volontà politica nel risolverla e di riconoscere come parte fondamentale del tessuto socio-culturale cittadino l’operato delle associazioni indipendenti, a differenza del resto della Svizzera. In tante realtà urbane, anche di modeste dimensioni, luoghi come lo Spazio Morel prosperano da anni, arricchendo il territorio di offerte culturali e aggregative».


Quali sensazioni vi provoca il mantra dell’appello al dialogo delle autorità cittadine al Molino, chiediamo ai promotori dell’ex Spazio Morel. «A noi sembra chiara una cosa: la volontà dell’ormai rinominato SOA (Strade Occupate Autogestite) di mantenere l’assemblea del lunedì trasferendola sulla piazza ha raccolto una rinnovata voglia di partecipazione con tante persone che si stanno mettendo in gioco. Sono state consegnate 6.000 firme in una settimana, mentre sabato più di 3.000 persone con i loro corpi e le loro voci hanno camminato, ballato e si sono espresse nello spazio pubblico. Ciò dimostra la voglia e il bisogno, al di là esclusivamente delle persone che gravitano attorno alla realtà del Molino, di autodeterminarsi e di autogestirsi. C’è una grossa voce collettiva che si sta esprimendo ma sembra che le forze istituzionali non la vogliano proprio sentire.

 

I municipali si ostinano a volere un “dialogo” che in realtà è un tentativo di ridurre questa forza collettiva e multiforme in un paio di rappresentanti con cui discutere a porte chiuse, patteggiare alcune strade da percorrere per poi giocarsela sui media con un paio di comunicati stampa. Ci piacerebbe portare l’esempio di Morel come fruttuoso, ma non è stato davvero il caso. Il dialogo che abbiamo avuto con i municipali è stato fallimentare, nonostante la nostra buona volontà, perché davanti ad ostacoli legali il Municipio non ha dimostrato la volontà di porsi propositivo ma ci ha lasciato schiantare verso i muri della burocrazia».

 

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Pubblicato il

08.06.2021 14:09
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