Zurigo sarà probabilmente la prima città svizzera a introdurre una tessera d’identità locale per tutti i residenti che dovrebbe soprattutto facilitare la vita ai migranti sprovvisti di documenti, circa 10.000 persone secondo le stime. È una delle buone notizie che sono uscite dallo scorso fine settimana di votazioni (federali, cantonali e comunali) dal bilancio certamente in chiaroscuro: da un lato l’approvazione della nuova legge sui trapianti che consentirà di salvare vite umane e di quella sul cinema che finalmente introduce qualche obbligo per le multinazionali dell’intrattenimento e che potrebbe fare da apripista all’abolizione di altri privilegi per i giganti dell’internet, ma dall’altro un chiaro sostegno ad uno strumento repressivo dell’immigrazione come Frontex e, in Ticino, l’approvazione di un decreto di austerità voluto dalla destra ultraliberista. Risultati questi ultimi che mettono tra l’altro in luce le difficoltà di mobilitazione della sinistra e delle forze progressiste.
Anche se l’attuazione del progetto richiederà anni (e forse anche ulteriori votazioni, visto che la destra ha già preannunciato nuovi referendum), quello dato dai cittadini zurighesi è un segnale che va colto con favore. Pur non risolvendo le problematiche dei sans-papiers, quasi 80.000 persone che vivono e lavorano in Svizzera ma che non hanno uno statuto di soggiorno e sono privati di diritti fondamentali, la “Züri City Card” (che si ispira ad un’esperienza lanciata a New York) è uno strumento adeguato a facilitare e a normalizzare un po’ la vita quotidiana di queste persone: ritirare una lettera raccomandata, iscrivere i figli all’asilo, prendere un libro in prestito in biblioteca, chiamare la polizia in caso di reato o presentare una denuncia. Ma uno strumento anche per facilitare l’accesso a teatri, piscine eccetera e che i promotori hanno giustamente voluto che sia a disposizione di tutti i residenti della città, condizione essenziale perché non si trasformi in un documento di identificazione dei sans-papiers. Certo, la soluzione più giusta sarebbe quella di una regolarizzazione a tutti gli effetti, ma il voto zurighese ha comunque il merito di riportare la questione al centro del dibattito a livello nazionale e magari avrà quello di accelerare progetti simili già al vaglio in altre località sviz- zere. Di segno opposto è stato invece – spostandoci al piano nazionale – l’esito del referendum sulla partecipazione della Svizzera al potenziamento di Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera che controlla e gestisce i flussi migratori alle porte dello spazio Schengen (di cui fa parte anche la Svizzera), quella che presidia la Fortezza Europa, rendendosi sistematicamente complice della violazione dei diritti umani, in particolare nel quadro dei tanti e documentati respingimenti illegali alle frontiere terrestri e marittime dell’Ue che mettono in pericolo la vita delle persone. Una percentuale di favorevoli che ha superato il 70 per cento (anche nei centri tradizionalmente progressisti, come la stessa Zurigo che ha detto sì alla Züri City Card) è un risultato desolante, un atto di indifferenza nei confronti di politiche disumane. Una sconfitta era stata certamente preventivata ed era scritta nella storia stessa di questo referendum: lanciato da una piccola associazione di migranti, sostenuto con poca convinzione dai partiti della sinistra e non appoggiato da grandi organizzazioni come Amnesty International o l’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati. Troppo poco per tenere testa alla propaganda del fronte favorevole che preconizzava l’uscita della Svizzera dal sistema Schengen e scenari catastrofici, oltretutto in un contesto segnato dalle inquietudini provocate dalla guerra in Europa. Certo, con una maggiore mobilitazione della sinistra si sarebbe forse potuto ottenere un risultato meno catastrofico. Una riflessione che vale anche per quanto capitato in Ticino con l’approvazione del cosiddetto Decreto Morisoli, che impone il pareggio dei conti cantonali entro il 2025 attraverso tagli alla spesa pubblica (scuola, sanità, socialità, servizi pubblici) e che dunque andrà a svantaggio della stragrande maggioranza dei cittadini. Se il 56,9% degli elettori dicono sì all’austerità e se questi sono solo il 38,3% degli aventi diritto al voto, significa indubbiamente che i promotori del referendum non sono stati capaci né di mobilitare né di spiegare ai cittadini la posta in gioco. Una situazione preoccupante che dovrebbe indurre i partiti della sinistra (anche se molto affaccendati nei preparativi per la corsa alle poltrone in palio nelle elezioni cantonali e federali del 2023), le forze progressiste e sindacali del cantone a una seria riflessione sulle proprie capacità di parlare alla propria base e di mobilitarla in difesa dei suoi interessi. |