Era il titolo di un libro che mi regalarono quando avevo circa dieci anni, poco prima della fine della seconda guerra mondiale. Si trattava probabilmente di un libro edificante perché tra le “luci” citate ricordo la battaglia di Ponte Milvio vinta da Costantino contro Massenzio “nel segno della croce” e la vittoria di Carlo Martello a Poitiers che permise di fermare l’invasione in Europa degli arabi di ‘Abd ar-Rhaman. Le “ombre” andavano dalle persecuzioni dei cristiani da parte dei romani alla fase del Terrore della Rivoluzione francese. Ma quel che soprattutto ricordo è che la lettura di quel libro fece nascere in me l’impressione di essere stato fortunato a nascere nel XX secolo, in un mondo “moderno”, tutto sommato democratico e giusto dove le “ombre”, ovvero gli orrori dei secoli precedenti non erano più immaginabili. Nemmeno le successive rivelazioni sulle barbare, inaudite crudeltà programmate commesse dai nazisti nei confronti della dignità e della vita di milioni di uomini, donne e bambini ebrei, di zingari, di omosessuali, di andicappati e di oppositori al regime, modificò di molto quella mia impressione perché credo che, inconsciamente, fossi portato ad attribuire quelle infamie a una degenerazione collettiva irripetibile in un mondo che nel 1948 aveva codificato nella carta delle Nazioni Unite i diritti fondamentali dell’uomo sanciti nel 1789 dalla Rivoluzione francese. Nonostante le luci dei diritti individuali e dei diritti sociali, la storia della seconda metà del XX secolo si è purtroppo incaricata di dimostrarmi quanto la natura dell’uomo abbia conservato l’antica ferocia malgrado gli orpelli della modernità, quanto fragili fossero le barriere rappresentate dalle dichiarazioni solenni e di quali orrori fossero capaci gli uomini sia quando ritengono in pericolo i propri interessi fondamentali sia quando vogliono imporre una qualsiasi forma di “paradiso in terra” colmando con la forza il fossato che separa l’Utopia dalla realtà. In modo disordinato e, certamente, non esaustivo penso alla guerra di Algeria e al suo strascico di assassinii e torture mai puniti, penso alle guerre tribali in Congo e alla tragica fine di Lumumba, ai gulag e alle persecuzioni di ogni tipo del comunismo sovietico, al genocidio perpetrato in Cambogia dai “khmer rossi” , alla rivoluzione culturale cinese, al massacro di mezzo milione di comunisti in Indonesia ad opera di Suharto, al Ruanda, alla ex-Yugoslavia del dopo Tito, ai curdi, al Cile di Pinochet e della Cia, ai desaparecidos delle dittature militari sud-americane, a Sabra e Chatila ieri e a Rafah oggi, ai bombardamenti di popolazioni inermi e ai kamikaze che si fanno esplodere in mezzo alla folla, alle torri gemelle e all’esecuzione filmata di ostaggi innocenti. Una continuità dell’orrore che ha conosciuto con le torture nel carcere di Abu Ghraib e con il vuoto giuridico nelle gabbie di Guantanamo gli ultimi desolanti episodi. Con l’aggravante, da un certo punto di vista, che a permettere e a realizzare questi ultimi orrori sono state autorità di paesi democratici dove la stampa è libera di denunciare quelle atrocità all’opinione pubblica. Un’aggravante che, tuttavia contiene anche una speranza nel senso esposto da André Glucksmann in una intervista concessa a Repubblica (26.05.04) dove, tra l’altro, afferma: «i diritti non devono servire alla costruzione di un qualsiasi paradiso in terra, ma solo a combattere, per quanto è possibile, l’inferno che ci troviamo di fronte. Non è l’idea di un bene supremo che mobilita gli uomini, ma la resistenza al male». Un concetto di “diritti” meno idealistico di quello cui spesso siamo abituati, ma con un obiettivo concreto, più facilmente perseguibile in e da un paese democratico, «quello di obbligare il potere a rispettare l’uomo». Qualsiasi tipo di potere, economico o politico, di destra o di sinistra.

Pubblicato il 

04.06.04

Edizione cartacea

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