Quando la giustizia giudica un giudice. La settimana prossima si celebrerà il processo al giudice Franco Verda trascinato nella bufera del presunto boss del contrabbando Gerardo Cuomo. L’ex giudice è accusato di violazione del segreto d’ufficio e di corruzione passiva. E corruttore attivo è Cuomo, appunto. Evidentemente fa scalpore che sullo scranno degli imputati sia un giudice e se ne è molto discusso. Per taluni si tratterebbe di un fatto isolato mentre altri sospettano che si tratti di un tassello di quel che è stato definito "Ticinogate". Alla vigilia del processo abbiamo raccolto alcune riflessioni sul significato che questo fatto di cronaca può avere. Significato che comunque trascende quello stretto della cronaca giudiziaria.
Lillo Alaimo, giornalista
Il caso Cuomo-Verda è però sintomo di una malattia di cui il cantone soffre gravemente: un consociativismo spesso all’eccesso. E sino a che si reagirà, sì con determinazione e celerità, ma continuando a ripetere – dinanzi ad ogni anomalia o scandalo politico-istituzionale – che si tratta di "casi isolati"… beh, difficilmente si individuerà la terapia adeguata e definitiva. C’è il rischio che il male infetti troppi organi vitali. Come in ogni altro paese costretto da dimensioni geografiche e sociali ridotte, qui i poteri hanno uno spazio vitale esiguo. Sono a ridosso uno all’altro e talvolta s’intrecciano sino a ridurre la loro indispensabile autonomia. E la loro area d’azione è pericolosamente influenzata. Esistono situazioni di contiguità rischiose e il loro annientamento oggi dev’essere tra gli obiettivi principali. Una magistratura il più possibile lontana dal potere politico è indispensabile, ma sino a che i magistrati saranno, di fatto, espressione di questo o quel partito…! Ecco cosa ha insegnato l’affaire Cuomo-Verda, ma soprattutto il contorno politico-istituzionale via via scoperto. Guardando al microscopio le cellule malate, si scopre che il clima di contiguità nasce da relazioni d’amicizia e d’affari inopportune alla luce delle funzioni e delle cariche che taluni ricoprono. Il consociativismo istituzionale e, più in grande, quello dei poteri nasce da frequentazioni che sarebbe giusto evitare. Il caso Cuomo-Verda è solo uno fra i sintomi di questo malessare. Altri segnali ha infatti mandato il corpo malato: la vicenda Ducry-Marty-Cattaneo; il caso Rusca; le importanti relazioni di cui si vantava il pregiudicato avvocato Moretti, ovvero il legale luganese in carcere da dieci mesi perché accusato di riciclaggio. E allora: se è vero, come è vero, che nei casi citati le responsabilità sono soggettive, è altrettanto vero che occorre creare condizioni tali da arginare i pericoli suddetti. Leggi, norme e organismi di controllo devono essere più efficaci. Ma non solo: la classe dirigente, d’ogni ordine e grado, dev’essere selezionata con maggiore attenzione e scrupolo. E in tutto ciò i partiti hanno un ruolo importante. Certo però che sin quando nei parlamenti e negli esecutivi siederanno anche politici tutt’altro che al di sopra d’ogni sospetto, beh… la diagnosi resterà a lungo riservata".
Christian Marazzi, economista
"In pochi anni, l’homo ticinensis sembra aver subito una radicale mutazione antropologica. Non passa giorno senza che qualche vizio privato venga portato alla luce dai mass media. Si va da speculazioni nel settore immobiliare a intrallazzi con funzionari pubblici, da connivenze con organizzazioni mafiose internazionali a allegri festini impolverati. Nella Fiaba delle api (1705), descrivendo la nascente economia capitalistica, Mandeville scrisse: "Ciò che noi chiamiamo il Male in questo mondo, sia morale sia naturale, è il grande principio che fa di noi delle creature socievoli, la solida base, la vita e il sostegno di ogni commercio e impiego, senza eccezione alcuna". Anche a ladri e a criminali verrà dunque riconosciuto il contributo allo sviluppo economico: non è forse ai ladri che si deve l’invenzione delle serrature e ai criminali la produzione dei manuali di diritto? Secondo i precetti fondamentali dei padri dell’economia politica, la moralità non ha ragione di esistere nel sistema economico. Basta la mano invisibile del Dio-mercato. Eppure i misfatti di oggi non sono peggiori di quelli di un tempo, il tempo in cui il Ticino cercava di modernizzarsi costruendo infrastrutture pubbliche, sviluppando lo Stato sociale. Anche negli anni 60 e 70 qualche testa eccellente era caduta miserevolmente. Ci furono pure consiglieri di Stato. A differenza di allora, oggi colpisce la rapidità con la quale l’opinione pubblica metabolizza ogni scandalo. Non si può sostenere che la svolta liberista sia la sola spiegazione della deriva morale nel Cantone. Altrettante porcherie, anche più grosse, furono commesse nel Ticino di cui qualcuno ha nostalgia. E neppure si può spiegare questa deriva scrutando le singole biografie di questo o di quell’altro imputato. Gli scandali di oggi dipendono da una diversa cornice economica e sociale. Con le parole di Bauman, nel Ticino odierno "sparite per sempre sono le amichevoli drogherie all’angolo della strada;… Scomparse sono le amichevoli filiali locali delle banche o delle società immobiliari, sostituite da anonime e impersonali (e sempre più spesso sintetizzate elettronicamente) voci dall’altro capo del telefono… Sparito è l’amichevole postino che bussa alla porta sei volte la settimana e ti chiama per nome". L’economia è diventata flessibile, fragile e friabile. Lavori ritenuti un tempo inossidabili e indispensabili si dissolvono di punto in bianco; specializzazioni un tempo cercate col lanternino oggi risultano invendibili. La nuova economia predispone a tre comportamenti umani negativi: il cinismo, l’opportunismo e il servilismo generato dalla paura di perdere il lavoro. La società di oggi mette al lavoro i "sentimenti del disincanto" dell’uomo qualunque. In essa prevalgono le opportunità, e l’opportunista viene addirittura premiato lautamente. In una società in cui la comunicazione non è più sinonimo di socialità e di dialogo, bensì di interazione produttiva di soli profitti, il comportamento cinico, incurante del significato di ciò che fa, è il riflesso perverso della logica dell’economia digitalizzata. Occorre chiedersi se, in questa costellazione di comportamenti incresciosi, ci siano efficaci segni di rifiuto e di conflitto. Si può, in altre parole, avere un rapporto non opportunistico con le opportunità? Si può lavorare non cinicamente per la comunità sociale, pur utilizzando le nuove tecnologie della comunicazione? La risposta, seppur parziale, sta nella denuncia sistematica dei comportamenti illegali. Ma è importante sapere che non si è alle prese con una semplice e passeggera congiuntura sociale o spirituale, rispetto alla quale si possa invocare il ripristino di un Ticino precedente. La luce che cerchiamo sta nella notte in cui viviamo. In questa ricerca è consigliabile diffidare di coloro che fanno appello alla separazione dei poteri, esecutivo, legislativo e giuridico, per tranquillizzare l’opinione pubblica disorientata ("lasciate fare ai magistrati, non immischiatevi"). È solo il caso di ricordare che fu proprio Montesquieu, al quale si attribuisce la teoria della separazione dei poteri alla base dello Stato di diritto, a spiegare come i poteri in realtà si combinano, si fondono e si connettono sulla base dei rapporti di forza politici. Difficile negare che da qualche anno i rapporti di forza politici abbiano legittimato comportamenti cinici e opportunisti. C’è, per così dire, della flessibilità nella sfera della giustizia".
Anna Biscossa, Presidente Ps
"Credo che una classe politica si possa giudicare soprattutto nei momenti di difficoltà. Va allora ricordato che sul caso Verda-Cuomo la scelta del Consiglio di Stato di affidare l’indagine ad un Procuratore straordinario (per altro "caldamente" suggerita dal Ministero della Confederazione), come pure quella di rendere pubblica la cosa nei modi e nei tempi (molto poco abituali per il Consiglio di Stato in altre gravi situazioni) che abbiamo vissuto hanno destato alcune perplessità. Quelle scelte sono state opportune? Si poteva almeno evitare il clamore sul coinvolgimento iniziale del Procuratore generale? Altre modalità avrebbero intralciato o, al contrario, favorito il cammino della giustizia? Francamente ancora oggi nutro alcuni dubbi, dubbi che mi sembrano purtroppo confermati dal fatto che, da quel momento in avanti, e direi a scadenza mensile, si sono registrati puntuali tentativi di gettare ombre sulla magistratura in modo sempre eccessivamente gridato, un modo che non può che suscitare perplessità. Perplessità che inducono a chiedersi se non vi sia una strategia precisa dietro tutto questo clamore, quasi che un potere capace di reagire e di regolamentarsi internamente in modo puntuale come ha dimostrato di saper fare in questo anno la magistratura ticinese, dia fastidio ad una parte del mondo politico ticinese. Più in generale, al comprensibilissimo stupore e sbigottimento iniziale, è seguito un atteggiamento schizofrenico: da una parte di chi salvava Verda da ogni responsabilità in modo aprioristico, dall’altra di chi imputava a Verda ogni colpa, trasformando la vicenda in un semplice errore individuale. Approfondimenti politici sul sistema di concessione di permessi di soggiorno non erano quindi ritenuti necessari da tutti, come se, tolta la mela marcia, il resto del cestino dovesse essere per forza di ottima qualità. In realtà è stato proprio dall’avvio di quelle procedure di verifica che sono scaturite, stanno scaturendo e probabilmente scaturiranno ancora gli aspetti più significativi di questa vicenda. Alcune gravissime falle nel sistema Ticino stanno venendo alla luce; una leggerezza raccapricciante e diffusa su certi atteggiamenti o procedure adottate a diversi livelli e in molti settori stanno divenendo palesi. Purtroppo però la capacità di indignarsi, di dire di no e di reagire in modo chiaro e coerente sotto i dettami dell’etica, ancor prima che del diritto, non sono ancora presenti in modo diffuso e omogeneo nella realtà del Ticino politico. Qualcosa è cambiato, ma certamente non abbastanza. Per questo lo spirito di questo episodio deve essere tenuto vivo: sarebbe davvero un peccato se questa tristissima vicenda umana e istituzionale non lasciasse un segno indelebile nella cultura politica ticinese".
Dick Marty, consigliere agli Stati
"Il danno arrecato è indubbiamente grave, anzi gravissimo. Certo, l’immagine del Cantone era già assai compromessa, ma il caso Cuomo-Verda ha clamorosamente e forse definitivamente confortato numerosi Confederati nel loro giudizio devastante sui costumi e le istituzioni del Sud delle Alpi. Il lavoro di ricostruzione sarà lungo ed impegnativo. Tutti hanno ormai detto tutto sulla vicenda. Verda è già stato processato e condannato, prima ancora che prendesse inizio il dibattimento dinanzi ai giudici. Si tratta di una manifestazione di scarsa civiltà che deve preoccupare. Conosco Franco Verda, per tanti anni ci siamo incontrati nelle aule giudiziarie. Verda non è un delinquente; è stato imprudente, verosimilmente molto imprudente. So che ha attraversato vicissitudini personali molto angosciose e ho l’impressione che la sua capacità di considerare criticamente la realtà sia rimasta compromessa. Ha anche infranto le norme del codice penale? Spetterà ai giudici stabilirlo. Sbaglia, e di molto, chi pensa che la sentenza penale – in particolare se di condanna – rimetterà le cose nel loro giusto ordine. La vicenda di Verda è soprattutto una tragedia personale di un uomo che, in un momento molto delicato della sua vita, ha sbagliato – resta ancora da vedere come e quanto – quando si apprestava a concludere una lunga carriera caratterizzata da impegno e correttezza. Il vero problema, lo scandalo che deve preoccuparci, risiede altrove. Come è mai possibile che personaggi come Cuomo e tanti altri giungano sistematicamente da noi, trovando sempre banche, fiduciari e studi legali per assecondarli nei loro traffici, la cui natura dubbia non può sfuggire nemmeno ai più sprovveduti? Un fenomeno preoccupante che si inserisce in un contesto politico che appare ormai fortemente degradato: bancarottieri e pregiudicati sono eletti nelle istituzioni e tengono banco alla televisione; l’incredibile vicenda Thermoselect, uno dei più gravi esempi di malcostume pubblico e di corruzione politica, si conclude nel modo che sappiamo senza che vi sia una minima conseguenza istituzionale e politica; una miscela di relazioni particolari induce la banca dell’ente pubblico a precipitarsi al soccorso del politico che si teme concedendogli un mutuo, nonostante il rifiuto opposto da altri istituti e una situazione finanziaria più che dubbia; le malefatte e le omissioni legate alla vicenda Cardiocentro; un apparato che sembra sempre più faticare ad amministrare tempestivamente la giustizia e che presta così il fianco al sospetto che la legge non sia veramente uguale per tutti; un metodo di confronto politico sempre più fondato sulla denigrazione personale di chi la pensa in modo diverso. E la lista potrebbe continuare. Tutto questo accade in un clima di generale apatia, di silenzi talvolta imbarazzati e spauriti, spesso codardi, ma non di raro complici e conniventi. Temo che qualcuno possa pensare che per rimettere tutto al proprio posto sia sufficiente attendere la sentenza di condanna del tribunale chiamato a giudicare la vicenda penale Cuomo-Verda oppure, come stanno facendo alcuni, inventare "affaires" fasulle per distogliere l’attenzione dai veri problemi e dagli scandali veri. Ci vorrà ben altro per ritrovare dignità e credibilità".
Daniele Fontana, giornalista
"Ad un anno dall’esplosione del caso Verda-Cuomo la cronaca ha portato alla luce una serie di altri comportamenti anomali da parte di magistrati ticinesi. Nessun risvolto penale accertato, ma una concatenazione che è assurta a simbolo: eccesso di leggerezza alimentato anche da un eccesso di presunzione hanno portato di fatto alla perdita del senso della funzione istituzionale che si stava occupando. Un segnale pessimo per il singolo cittadino, ma anche una macroscopica epifania della nuova "identità" di una parte del corpo sociale: senso dello stato, senso delle funzioni, senso delle regole del convivere civile, senso del limite della propria libertà: grosse falle si sono aperte, negli ultimi anni, in queste dighe con il dilagare di un nuovo credo improntato all’assolutismo egotista, al menefreghismo interessato e, nel migliore dei casi, al disimpegno latitante. A dire il vero il primo bastione a cedere è stato quello della politica che ha progressivamente dismesso uno dei suoi ruoli fondamentali: quello di definire anche delle linee "morali" (nel senso più ampio possibile). In questo modo la politica si è sempre più autoconfinata alla gestione dell’ordinaria amministrazione. Ciò che deve far pensare è che questa dismissione, questa afasia della voce politica non va ascritta solo a questi anni recentissimi. È iniziata già diverso tempo addietro e purtroppo ha interessato anche posizioni strategiche (perché istituzionali) del fronte di sinistra. La "leggerezza", la riduzione della soglia di allarme ha finito così con l’avviluppare anche il baluardo dell’istituzione giustizia, dove però imperanti sono, per definizione, i limiti segnati dalle leggi. Il che porta all’assurdo per cui comportamenti eticamente riprovevoli non configurandosi come reati penali hanno finito con il distribuire ombre di sospetto anche su chi quei comportamenti ha indagato. Questa ormai diffusa prassi comportamentale inevitabilmente chiama in gioco il ruolo del potere dell’informazione. E la risposta che si va registrando rischia una polarizzazione per nulla salutare. Da una parte il rischio di scelte che, o per supino istituzionalismo o per condivisa logica "politica", assecondano questa assenza di profilo. Dall’altra la tentazione di un giustizialismo che si autoinveste di missioni salvifiche. Che cosa ci deve allora insegnare l’affare Verda-Cuomo? Prima di tutto a ritrovare ognuno il proprio posto, all’interno di un’organizzazione sociale che per funzionare deve recuperare delle regole fondamentali. Regole che non sono né vecchie né nuove, né conservatrici né progressiste. Sono solo quelle da sempre indispensabili al vivere collettivo nel rispetto dell’equità dei diritti di ognuno".
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