Che significato può rivestire oggi l’ozio? Intervallo di speranza, immaginazione e ricerca di un senso ancora possibile o fastidio grasso di un mondo privilegiato? Quale spazio di libertà e di utopia rimane all’ozio? Se fino a qualche anno fa oziare era soprattutto non-produrre, oggi forse l’unico ozio assoluto e definitivo va ricercato al di fuori di ogni forma di consumo: ozio gratuito, appunto. Pensare all’ozio in un mondo dominato dallo stress e dall’ansia di riuscita può essere un lusso o forse una necessità… In una società votata alla produzione, il tempo libero è diventato un momento di riposo e svago, piccola fuga quotidiana dal Grande Stress. In passato, l’ozio fu appannaggio quasi sempre dei ceti marginali: il sottoproletariato che viveva di espedienti e, all’altro estremo, la nobiltà che con piglio romantico scorrazzava per le strade d’Europa contemplando tramonti e amori leggiadri. L’ozio come condizione esistenziale di privazione per i primi o come flânerie, lusso e voluttà per i secondi. Negli anni del boom economico, dal dopoguerra in qua, l’ozio passa di moda. In giro è tutto un gran daffare. Si costruisce ovunque. Il “pieno impiego” non è solo una costante del mondo del lavoro, ma diventa anche forma mentale che modella l’individuo. Si lavora per accumulare e riempire la casa degli ultimi ritrovati tecnologici: lavatrice, televisione, tostapane, frullatore multiuso ecc. Sono gli anni delle tre M: macchina, mestiere e moglie, rispettivamente marito. L’ozio è quello che ci si concede seralmente stravaccati sul divano ipnotizzati dal televisore o a ferragosto distesi sotto un ombrellone romagnolo con in mano una fetta di melone. Con l’avvento della globalizzazione, lo stress da prestazione aumenta vertiginosamente e comincia ad essere democraticamente condiviso. La competitività colpisce il top manager da 10 milioni di franchi all’anno, come il working-poor nostrano con l’acqua (eufemismo) perennemente alla gola. Le nuove fruste si chiamano audience, obiettivi aziendali, controllo di qualità, outsourcing ecc. La vita si fa apnea. Già da giovani. Anzi proprio loro sono i prototipi del moderno stress-addict (dipendente non tanto da droghe, ma da stress). È la sindrome combinata da play-station (“tocca a me?”), surfing (navigando da un sito all’altro) e zapping (dove qualcosa deve sempre succedere), che porta ad un’alterazione dello stato di coscienza, all’abitudine ad uno stato di maggiore tensione, che necessita una soglia d’attenzione sempre maggiore. Terminato il gioco – gameover – subentra la noia, in quanto non si trova (a scuola, in famiglia), nessun equivalente che sappia suscitare la medesima tensione emotiva. Così la scuola e spesso il lavoro diventano il luogo del tasto “pause” con l’assunzione di comportamenti apatici e svuotati. Tra sureccitamento continuo e noia profonda, c’è da chiedersi che spazio rimanga all’ozio. No problema! Il mercato del tempo libero non ti dimentica. E così il tema dell’ozio ritorna in voga, soprattutto all’avvicinarsi dei trent’anni, quando cominci a disporre di qualche soldino e a capire che tanto non c’è poi bisogno di tutta questa fretta. Tecniche di rilassamento, massaggi orientali, bagni termali, cromoterapia, meditazione trascendentale, atmosfere lounge formano la panoplia del nuovo culto: la grande ricerca del benessere individuale. Il wellness diventa il nuovo business di massa. Sudi metà della vita col motore al massimo dei giri e l’altra metà a cercare di farlo rallentare, il più vellutatamente possibile a seconda del portafoglio. Sa un po’ di presa in giro, ma non è che ci rimangano molte altre chance. Per altri meno privilegiati però, il lavoro è sempre più un miraggio e l’ozio è quello di Sisifo: una condizione cronica di sopravvivenza intercalata a ricerche perenni, impieghi interinali e salti mortali di fine mese. E pensare che c’è chi ancora non si è accorto che il ceto medio è morto e sepolto. Per altri ancora l’ozio rappresenta un’ancora di salvezza, un bene di prima necessità, la via maestra per risintonizzarsi col proprio diapason interiore. Un intervallo esistenziale sempre più prezioso. Alcuni coraggiosi riescono, al prezzo di grandi sacrifici, a farne uno stile di vita e la condizione di salvaguardia del proprio istinto creativo, regalandoci persino, qualche volta, opere sublimi. Altri si accontentano di tirare il fiato per un attimo più o meno prolungato, ammirando un tramonto, riascoltando un Duke Ellington d’annata o sorseggiando un buon bicchiere di rosso. Assieme, possibilmente.

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28.04.06

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