Olivier Peter, avvocato ticinese da anni attivo a Ginevra è specialista di diritti umani e diritto penale del lavoro. Martedì 19 novembre sarà ospite di una serata organizzata dal gruppo migranti Unia Ticino. L’appuntamento è alla Casa del popolo di Bellinzona, alle 18.30. Ne abbiamo approfittato per fare due chiacchiere con l’avvocato che a Ginevra è intervenuto in diversi casi, come quello che di recente ha portato alla pesante condanna (non ancora definitiva) di quattro membri di una ricchissima famiglia indiana, riconosciuti colpevoli di usura. Avvocato Peter, in Svizzera negli ultimi anni ci sono state alcune importanti condanne per casi di tratta di esseri umani e usura legati al mondo del lavoro. Le autorità hanno finalmente capito che occorreva agire anche sul fronte penale? La tratta di esseri umani e l’usura sono un tema di stretta attualità che per anni non ha suscitato il giusto interesse da parte delle autorità, in particolare per quanto concerne lo sfruttamento in un ambito lavorativo. Questo sfruttamento era quasi normalizzato e istituzionalizzato e per anni si è fatto ben poco. Le autorità di perseguimento penale hanno a lungo considerato lo sfruttamento del lavoro come una semplice questione di diritto privato tra parti che godono dello stesso status contrattuale. Siamo però di fronte a reati penali, spesso perseguibili d’ufficio. Per molto tempo, i pubblici ministeri e le forze di polizia non hanno fatto il loro lavoro. Ciò ha permesso la diffusione di gravi pratiche criminali e l’impunità dei loro autori. Le cose ora sembrano evolversi in maniera positiva. A cosa è dovuto questo cambiamento? Questa evoluzione positiva è il frutto di un grande e puntiglioso lavoro da parte dei sindacati e delle associazioni di aiuto alle vittime, capaci di intercettare le situazioni, denunciare i casi, sostenere le vittime e sollecitare le autorità ad agire. Quali sono i principali risultati ottenuti da un punto di vista della giustizia penale? Qui a Ginevra sono stati ottenuti dei risultati, con delle condanne significativeper gli sfruttatori. È stato inoltre riconosciuto il principio che le vittime hanno diritto ad un risarcimento, da parte dello sfruttatore, del salario non pagato in rapporto al salario minimo legale. In alcuni casi siamo anche riusciti a fare ottenere alle vittime dei permessi di soggiorno in Svizzera di lunga durata. Quali i punti ancora aperti? Per ora quando lo sfruttatore non paga il salario dovuto alle vittime non succede nulla. Lo Stato che da un certo punto di vista ha permesso questo sfruttamento dovrebbe a mio modo di vedere farsene carico, riparando perlomeno il danno salariale. Ma per ora ciò non avviene. Questo aspetto è stato una delle mancanze rimproverate alla Svizzera dal GRETA, il gruppo di esperti ed esperte del Consiglio d’Europa, contro la tratta di esseri umani. In questo ambito un ricorso è tuttora pendente alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Poi vi è un altro ambito in cui si può ancora migliorare. Quale? Quello che riguarda il ruolo dei prestanomi. Nei cantieri, i trafficanti di esseri umani spesso provengono dallo stesso Paese o dalla stessa regione delle loro vittime. Tuttavia, non è sempre facile per queste persone costituire una società secondo le regole e fornire tutti i documenti necessari agli organismi di controllo. Di conseguenza, gli sfruttatori stranieri si rivolgono spesso a fiduciari svizzeri o persone domiciliate da tempo, che fungono da “prestanome”. Il loro ruolo nello sfruttamento è spesso stato poco considerato da un punto di vista penale. In un caso però un tribunale ha riconosciuto la responsabilità personale del fiduciario per i salari non pagati. L’uomo è stato addirittura condannato a 18 mesi con la condizionale. Si tratta di un passo avanti, ma sotto questo aspetto resta ancora molto da fare. A parte la repressione penale, sotto quali aspetti occorre ancora progredire? Naturalmente ci vogliono più controlli sui luoghi di lavoro e per questo il ruolo dei sindacati è molto importante. Il lavoro fatto da Unia è encomiabile in questo senso. Quello che constato è poi un nesso evidente tra la precarietà dei cosiddetti sans-papiers e le pratiche di tratta di esseri umani. Questo aspetto, purtroppo, è ancora completamente assente nelle politiche federali di contrasto alla tratta di esseri umani. Che fare, quindi? È sbagliato credere che la lotta alla tratta di esseri umani possa essere condotta solo attraverso la repressione. La cosa più importante è riconoscere che la tratta prospera laddove vengono tollerate condizioni di lavoro inaccettabili e i controlli sul posto di lavoro sono inadeguati. La relazione tra la criminalizzazione del lavoro illegale e la tratta è evidente. Se si impedisce ad una persona di lavorare in un ambito controllato lo si obbliga ad operare in un contesto selvaggio dove domina la legge del più forte e la si espone al rischio di diventare vittima di tratta. Occorre quindi assolutamente migliorare i diritti dei lavoratori sans-papiers e includerli in un quadro lavorativo legale. |