Lobbywatch merita di continuare a vivere

Cercansi mille nuovi sostenitori. Requisito: amore per la trasparenza. Impegno: 50 franchi l’anno, detraibili dalle tasse. Lobbywatch ha lanciato questa settimana una campagna storica, di cui avrete intravisto le tracce sui media. Perché dopo otto anni di attività, l’organizzazione senza scopo di lucro che fa le pulci ai conflitti d’interesse a Palazzo federale è arrivata al crocevia. Servono subito almeno mille nuovi membri, o dovrà chiudere i battenti. Sono una sostenitrice di Lobbywatch da quando è nata. L’ho sempre fatto con il mio doppio cappellino – da cittadina e da giornalista.

 

Come svizzera che va a votare, mi interessa sapere da chi prendono soldi i parlamentari. E come giornalista, sono grata di avere a disposizione uno strumento prezioso per le mie inchieste. Perché i conflitti di interesse sono fondamentali e non c’è democrazia senza trasparenza. A dare l’impulso per la nascita di Lobbywatch sono stati due giornalisti investigativi, Thomas Angeli e Otto Hostettler. Entrambi di casa al settimanale Der Beobachter, come spesso accade nel mestiere sono inciampati quasi per caso nella questione del lobbismo in salsa elvetica. Se ne sono infatti occupati per lavoro. E si sono accorti dell’elefante nella stanza. Non solo è una specialità svizzera in virtù del sistema di milizia, che offre ragioni e giustificazioni “chiavi in mano” – se non mi dai uno stipendio per sedere in Parlamento, non vorrai mica proibirmi di lavorare? Ma soprattutto, il lobbismo è il convitato di pietra. Tutti lo sanno, ma se ne parla troppo poco.

 

Quando mi trasferii da Roma a Berna all’inizio degli anni Duemila, rimasi allibita davanti a questa specialità nostrana. All’epoca ancora c’era un registro cartaceo, che si poteva consultare previo appuntamento. Non era consentito fare foto, né prendere appunti. Molta acqua è passata sotto i ponti. Oggi il sito parlament.ch riporta sotto al nome di ogni deputato quali siano i suoi cosiddetti “legami di interesse”. Tuttavia, l’immagine che ne risulta è frammentata. Dovresti passare molte ore a cliccarli uno per uno, per ricostruire le geografie del potere. Le dichiarazioni non sono sempre aggiornate. E poi, il pianeta dei conflitti di interesse è per definizione una zona grigia. Popolata da ricorrenti amnesie e talvolta genuini errori. Agli eletti non è richiesto poi di dichiarare il Quantum, mentre sarete credo d’accordo che c’è differenza fra far parte gratuitamente di un gremio e ricevere uno stipendio a molti zeri. Lobbywatch scrive una volta l’anno a tutti i parlamentari chiedendo loro di confermare i legami di interesse e dichiarare il Quantum. Non tutti rispondono, né sono d’altronde obbligati a farlo. Tuttavia, negli anni sempre più persone da noi elette decidono di comunicare cosa e quanto − e questo può essere considerato un bel risultato, visto che si era partiti da zero. Sul sito dell’organizzazione sono pubblicati in chiaro tutti i legami e animazioni uniscono i puntini – è possibile così farsi un’idea di chi comanda e chi obbedisce. Se passate dalla capitale, poi, approfittate delle leggendarie “Passeggiate di Lobbywatch”. Una visita guidata molto speciale alla scoperta dei luoghi preferiti dalle diverse lobby, che diventa espediente per svelare i retroscena di questa o quella partita in corso a Palazzo (ne abbiamo parlato su area n.14 del 2018). Infine, ci sono i rapporti periodici: analisi approfondite su quali siano per esempio i settori che pagano e su come funziona l’influenza. Materiale di grande interesse pubblico, che merita di continuare a vivere. La campagna e tutte le informazioni sul sito: lobbywatch.ch

Pubblicato il

27.10.2022 14:50
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