Lo sviluppo e la speculazione

"Lingua biforcuta", avrebbero detto gli indiani alla dirigenza Ffs. Quest'ultima si dice favorevole all'eventuale centro di competenze ferroviario il cui fulcro sarebbero le Officine bellinzonesi e, mentre lo studio di fattibilità è ancora in corso, ne avviano un altro per valutare il destino dei terreni su cui sorgono le Officine stesse.

L'agire schizofrenico della dirigenza Ffs ha riempito la sala della pittureria delle Officine di un personale fortemente preoccupato come ai tempi della lotta di quattro anni or sono. Il comitato di sciopero ne ha  informato l'opinione pubblica tramite una conferenza stampa, di cui riassumiamo i contenuti.
A parole l'amministratore delegato Andreas Meyer e alti manager Ffs condividono l'idea del centro di competenze di trasporto ferroviario in Ticino di cui beneficerebbe l'intero cantone attorno al perno  delle Officine di Bellinzona. Un'idea che lentamente e con fatica prende corpo. Dopo un primo studio favorevole targato Supsi, le conclusioni dell'analisi di fattibilità del centro di competenze sarà presentata a gennaio dall'azienda Bdo di Christian Vitta (capogruppo Plr in Gran Consiglio). Le Ffs affermano di non potere, a causa dei limiti imposti dal mandato ricevuto dalla Confederazione, essere parte attiva nella costituzione del centro di competenze quale persona giuridica. Dichiarano però di voler contribuire alla sua realizzazione portando a Bellinzona progetti strategici e attività di ricerca e formazione, indicando genericamente delle possibilità d'intervento.
Ma sul medesimo sedime dove potrebbe sorgere il fulcro del centro di competenze, la stessa dirigenza Ffs ha creato un gruppo di lavoro (Area) incaricato di valutare «i nuovi interessanti sviluppi urbanistici» di una parte consistente di terreno oggi occupata dalle Officine. Sedime che in futuro sarà inutilizzato perché, stando a un altro studio Ffs questa volta chiamato Lago, la manutenzione dei carri merci non sarà più redditizia e quindi quel settore a Bellinzona andrà chiuso. Pare di essere tornati al febbraio 2008, prima del mese di sciopero alle Officine, quando la dirigenza Ffs pianificava lo spostamento del settore locomotive a Yverdon e la privatizzazione della manutenzione dei carri merci, decretando così la morte dello stabilimento bellinzonese. E facendo cassa col prezioso terreno "liberato".

I "magnifici" sei

I 100mila metri quadrati su cui sorgono le Officine di Bellinzona fanno gola. Si stima che la vendita del terreno frutterebbe almeno 100 milioni alle Ffs. Con l'entrata in funzione di Alptransit nel 2017, l'impennata dei prezzi al metro quadro di quell'area a ridosso della stazione bellinzonese porterà guadagni stratosferici a promotori immobiliari e commerciali.
Memore della lezione del 2008, la medesima dirigenza Ffs ha forse deciso di affinare la strategia. Punto primo, costruire alleanze in Ticino affinché il Cantone non si mostri più compatto a sostegno delle Officine come avvenne quattro anni or sono. Niente di meglio che partire proprio da quegli appetibili 100mila metri quadrati, ingaggiando personalità locali incaricate e pagate per elaborare scenari sull'uso di quei terreni, una volta liberati dalle resistenti Officine.
E per non far torti a nessuno, le personalità sono state scelte secondo il manuale Cencelli, ossia in base all'appartenenza partitica. Ecco dunque i magnifici sei: per il Plr abbiamo il suo presidente Rocco Cattaneo e il presidente della Camera di commercio Franco Ambrosetti, la quota azzurra va a Silvio Tarchini (noto imprenditore da sempre legato al Ppd), mentre la quota rosa del partito socialista è occupata da Patrizia Pesenti, ex consigliera di Stato. All'appello manca un solo partito, quello di maggioranza relativa, la Lega dei Ticinesi. Ma si tratterebbe di una svista. Voci insistenti danno i leghisti ben presenti nel gruppo Area con una personalità di peso: Aron Camponovo, il collaboratore personale del consigliere di Stato Norman Gobbi. Da noi interpellato, Camponovo «non conferma né smentisce». Nei prossimi giorni si dovrebbero avere maggiori certezze. Tutto l'arco partitico ticinese è dunque rappresentato nel gruppo Ffs incaricato di valutare che cosa fare dei terreni delle odierne Officine. Ottimo colpo quello messo a segno da parte della dirigenza Ffs. Qualora lo scontro sullo stabilimento bellinzonese dovesse tornare d'attualità, avere dei preziosi alleati in Ticino non guasterà.
Chiude il gruppo il direttore dell'Istituto ricerche economiche Rico Maggi, noto per non aver mai nutrito simpatia per la lotta dei ferrovieri di Bellinzona. Dettaglio di non poco conto: ad affiancare i sei ticinesi nel gruppo Area siedono nientemeno che i vertici delle Ffs. Difficile avere dubbi sull'importanza del progetto per i manager delle Ferrovie.

Il Fox Town a Bellinzona?

Sul ruolo dei sei ticinesi, vista anche la mancanza di trasparenza fin qui constatata, abbondano le perplessità. Lo scorso 16 novembre, il presidente liberale Rocco Cattaneo ha finto una provocazione parlando alla sezione distrettuale bellinzonese del suo partito, ipotizzando lo spostamento delle Officine dall'odierno sedime. Pochi giorni dopo si è scoperto che non era un'ipotesi disinteressata da «semplice cittadino» come da lui sostenuto, bensì frutto di un ragionamento del gruppo per cui è stato ingaggiato dalle Ffs. Successivamente, anche Franco Ambrosetti ha fatto coming out, dichiarando «insostenibile mantenere le Officine nel cuore della città». Anche su Silvio Tarchini pesano dei sospetti, difficilmente verificabili. Un Fox Town posto in una stazione principale godrebbe di quell'autorizzazione alle aperture domenicali oggi invece illegali a Mendrisio. Fantascienza? Forse, ma vista l'opacità con cui è stata condotta l'intera vicenda dalle Ffs e le esternazioni di Cattaneo, i secondi fini non possono essere esclusi.
A spegnere sul nascere le velleità speculative su quel terreno potrebbe esserci il fattore B: la città col suo Municipio, come già avvenne in passato. Quando nel 2008 le Ffs volevano chiudere lo stabilimento di Bellinzona e far cassa col terreno, l'esecutivo in carica vincolò il sedime alle attività delle Officine. Interpellato da area alla luce dei nuovi sviluppi, l'odierno sindaco Mario Branda è stato molto esplicito su questo punto: «L'intero Municipio, oggi come ieri, è del parere che in quell'area debbano trovare posto insediamenti produttivi legati al mantenimento delle Officine di Bellinzona. Siamo contrari a mutare la destinazione di quel sedime in area residenziale. Questo deve essere chiaro». Parole forti che non lasciano dubbi, tanto che le stesse Ffs sono consapevoli. «Le Ffs – spiegano in un comunicato – sono coscienti del fatto che il terreno sul quale sorgono ora le Officine a suo tempo fu donato dal Comune di Bellinzona (allora Daro). Anche per questo motivo ogni eventuale modifica d'impiego va discussa e concordata con molta attenzione, in particolare con le autorità comunali».
La partita sul futuro delle Officine è dunque ancora ben aperta. «Anche perché – ha ricordato il comitato di sciopero – l'iniziativa sottoscritta da 15.000 cittadini a salvaguardia delle Officine è congelata in attesa del centro di competenze. Ma in caso di necessità verrebbe immediatamente riattivata e sul tema si esprimeranno i cittadini ticinesi». Senza scordare che, oltre agli strumenti istituzionali, rimane pur sempre l'arma principe dei lavoratori: lo sciopero.


Due visioni del Ticino

Il professor Christian Marazzi alla Rete 2 della Rsi ha commentato il tema con la consueta lucidità. Eccone uno stralcio: «Auspicare e lavorare per un Centro di competenza significa sviluppare un modello economico per così dire antropogenetico, centrato cioè sull'uomo, sulla sua stabilità occupazionale e reddituale, un modello di società basato sulle attività di servizio non solo alla persona, ma anche al territorio, alla sua qualità ambientale, un modello in cui ricerca, formazione, sanità e cultura rappresentano i pilastri strategici di uno sviluppo sostenibile.
A questa visione dell'economia  si contrappone quell'altra idea di Ticino, quella della speculazione immobiliare, dei servizi residenziali e commerciali, quel modello di crescita rapida che destruttura i legami sociali, vanifica la storia e l'identificazione collettiva con il territorio, desertificandolo e compromettendo la sua stessa attrattività.(...)»

Pubblicato il

07.12.2012 04:00
Francesco Bonsaver