La lezione del Papeete non gli è servita a capire che quando si esagera nei gesti, nel linguaggio, nella tracotante sicumera, il rischio di finire sulla griglia preparata per arrostire tutti i nemici è molto alto. Soprattutto in una regione ancorata alla concretezza e al realismo, l’Emilia Romagna del fare e, se possibile, fare bene. Il mojito consumato da Salvini a Milano Marittima gli è andato di traverso, ha tentato di far saltare il banco (il governo, per tornare al voto sull’onda di un’ascesa che gli sembrava inarrestabile) e ha perso tutto. Nessuna autocritica, solo pochissime settimane di toni bassi e poi “la bestia” (è il nome della sua guerra online) si è di nuovo scatenata pensando di dominare una scena in cui i suoi alleati giocavano da comparse e i “nemici” erano convinti di aver già perso la partita. E allora eccolo di nuovo all’assalto, con felpe, croci e madonne, pronto a espugnare Stalingrado, l’ultima trincea di un’Italia non più tanto rossa, ma almeno democratica. Eccolo, il superuomo del popolo che abbraccia le galline Rossana e Rosita in un allevamento parmense e accarezza una forma di parmigiano, eccolo baciare salami e coppe – baciare direttamente il maiale sarebbe stato troppo persino per Salvini. Eccolo che porta sul palco di Bibbiano il dolore di madri e bambine (“comunisti ladri di bambini”, è già un passo avanti, una volta i comunisti li mangiavano i bambini, quando si diceva che nelle urne Dio ti vede Stalin no), speculando su un’inchiesta giudiziaria che ha prima incarcerato il sindaco Pd e poi gli ha chiesto scusa. Eccolo, l’uomo delle felpe di stato che dopo aver costretto gli agenti a far scorrazzare il figliolo amato sulle moto d’acqua si presenta nel quartiere bolognese del Pilastro, circondato da stampa amica, sotto la casa di un tunisino indicato da un’isterica come spacciatore, eccolo mentre suona al citofono: “Scusi, lei è uno spacciatore?”, provocando le ire del governo tunisino. Salvini, surclassato in tutte le piazze emiliano-romagnole ha capito che le sardine rischiavano di svergognare la sua narrazione più di qualsivoglia partito, ma ha creduto di essere inarrivabile sotto la protezione della Madonna di Medjugorje. E invece lo squalo è stato circondato e sconfitto da un enorme banco di sardine e ha perso proprio nei luoghi in cui aveva scatenato tutta la sua cattiveria: a Bibbiano dove il Pd ha preso il 40% e la candidata della destra 20 punti in meno di Bonaccini; a Forlì, dove pure aveva strappato il sindaco al Pd, a Cervia (Papeete), nel quartiere del Pilastro dove la sfida Lega-Pd è finita 20 a 40, e infine nelle terre del parmigiano, delle galline e dei maiali. Salvini ha perso il 2% dei voti e il primato in regione, tornato al Pd salito sopra il 34%. Non gli resta che consolarsi con il risultato di Brescello (Bonaccini sotto di 20 punti), il paese di Peppone e don Camillo, si dice che a passare sull’altra sponda del fiume sia stato Peppone. A cavallo del caterpillar, cappello del Cavallino in testa, non ha vinto neppure le sfide automobilistiche e motociclistiche: due pareggi a Maranello (Ferrari) e Misano (pista per le gare di moto) e una sonora sconfitta nell’autodromo dismesso di Imola. Se adesso il centrosinistra, dopo aver fermato per grazia ittica ricevuta, la bestia, non si darà una mossa, Salvini che ha cambiato il colore all’ottava regione (la Calabria) tenterà in ogni modo di ricaricare le batterie del suo caterpillar. Vorremmo risparmiarci questo film.
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