Lavoro

È un settore vulnerabile e critico quello agricolo a forte rischio di lavoro nero e sfruttamento. Non lo dicono i media, ma le istanze cantonali preposte alla sorveglianza del lavoro. Nel 2014, in collaborazione con le gendarmerie ticinesi, sono già stati effettuati controlli in 100 aziende del settore con 18 inchieste avviate. Per combattere il fenomeno, ci dicono da Bellinzona, sarebbe necessario un Ccl, mentre la parte padronale dovrebbe essere più presente e attiva.

«Nell’orto crescono schiavi: minacce e lavoro nero». Così apriva qualche giorno fa un giornale gratuito ticinese. Certo, un titolo a impatto che non è passato inosservato, tanto che la Federazione orto-frutticola ticinese (Foft) e la Tior hanno subito replicato in maniera categorica con un comunicato congiunto, dissociandosi da quanto emerso dall’articolo. «La Foft è una società cooperativa di 40 aziende orticole ticinesi, delle quali commercializza la produzione tramite la propria società commerciale Tior Sa in tutta la Svizzera. La Foft difende in modo deciso i quaranta produttori associati in quanto non ci risulta affatto che nelle loro aziende succeda ciò che è stato descritto nell’articolo. In altre parole, non si verificano situazioni di abusi e tutti i collaboratori sono seri e validi, come tali sono rispettati e non “schiavizzati”».

 
Dal canto suo Sam Genini, il nuovo segretario dell’Unione contadini ticinesi (Uct), ci dichiara di non avere mai avuto il sentore che il problema esista, e se esiste è da imputare unicamente a «qualche mela marcia che rovina l’immagine degli altri».


D’accordo, ci piace credere che i produttori associati alla Foft siano impeccabili dal punto di vista del rispetto delle condizioni di lavoro, mentre i contadini dell’Uct (quelli che appunto impiegano i braccianti) siano all’oscuro del fenomeno. Ma davvero il settore agricolo, e subordinatamente dell’orticoltura, è così lindo e senza macchia? Ci dispiace per i professionisti seri, ma il rigore pare non essere la norma generalizzata. E non solo per quanto riguarda l’azienda orticola di Sant’Antonino oggetto dell’articolo.


«Il settore si rapporta con nuove forme di schiavismo, che oltrepassano quelle già sdoganate nel contratto di lavoro normale. Quello che è disumano e andrebbe rivisto con le sue 55 ore di lavoro permesse e una presenza del personale sei giorni su sette. Le condizioni di sfruttamento dei braccianti, già strutturali al settore agricolo, hanno subito l’ultima accelerazione con l’introduzione degli Accordi bilaterali» spiega Nicolas Bianchi, di Unia.


Il settore si rapporta dunque con nuove forme di schiavismo di cui si è occupata anche la Teseu, l’unità speciale di polizia di cui si è dotata il canton Ticino contro la tratta degli esseri umani. Tratta che coinvolge non solo il sottobosco legato alla prostituzione, ma colpisce pure altre categorie di lavoratori. Gruppi interi di migranti vengono portati in Svizzera, legalmente o illegalmente, e impiegati nell’agricoltura, nell’edilizia, nella ristorazione e nella cura a domicilio non sempre come dio comanda...


Questa, signori, è la schiavitù moderna delle società cosiddette evolute, che consiste nel reclutare, offrire, trasferire, procurare, ospitare o accogliere essere umani con lo scopo di sfruttarli. Spolparli fino all’osso. Spremerli fino all’ultima goccia.


«Abbiamo gli uffici di collocamento che traboccano di residenti in cerca di un’occupazione, ma guarda caso si vanno a prendere i braccianti in Polonia, che sono in regola con i permessi grazie alle convenzioni della libera circolazione, e li si porta in Ticino con i pullman per farli lavorare nei campi ticinesi nei periodi di punta dell’agricoltura. Perché ricorrere a manodopera straniera? Il motivo è da ricercare nel fatto che spesso questa categoria di lavoratori, a causa delle condizioni personali precarie che vive nei propri paesi d’origine, è disposta ad accettare condizioni di lavoro di sfruttamento pur di potere guadagnare la pagnotta a fine mese» continua Bianchi.


Il fenomeno dello sfruttamento, degli straordinari eccessivi e non retribuiti, di casi di lavoro in nero, di situazioni di maltrattamento è a conoscenza non solo del mondo sindacale, ma anche delle forze dell’ordine. La Teseu in passato ha già organizzato campagne di sensibilizzazione per rendere attenti i datori di lavoro agricoli che certe situazioni sono illegali, non si tratta di bagattelle, bensì di reati penali. E i controlli non mancano.


«Nel corso del 2014 sono già stati effettuati 100 controlli in aziende agricole in collaborazione con la Polizia cantonale. In 18 casi sono stati raccolti indizi di lavoro nero e avviate le relative procedure previste dalla legge. Siamo consapevoli che si tratta di un settore critico e sensibile proprio per la tipologia di personale impiegato, spesso situato fra le fasce sociali più vulnerabili, che fatica per questo a rivendicare i propri diritti o a denunciare condizioni di lavoro illegali. Lavoratori che hanno paura, proprio per i loro statuti precari, di dire le cose come stanno realmente, concorrendo a creare uno stato di omertà» evidenzia dal suo osservatorio Gianluca Chioni. Per il capo dell’Ufficio dell’ispettorato del lavoro, oltre a monitorare costantemente le aziende, una misura che potrebbe aiutare ad arginare gli abusi sarebbe l’applicazione di un Contratto di lavoro collettivo.

 

L’odierno contratto – lo diciamo noi – non tutela abbastanza la manodopera.
«Il contratto per il settore agricolo (articolo 359 del Codice delle obbligazioni) impone un minimo salariale di 3.200 franchi, ma non è vincolante. Ciò significa che se un lavoratore è consenziente e firma un documento con un importo inferiore, la paga pattuita è legale anche se inferiore al minimo salariale. Non tutti i braccianti, soprattutto se provenienti da altri paesi, hanno i necessari strumenti per comprendere la giurisprudenza in materia. Si può sempre, in un secondo tempo, aprire una causa civile e chiedere al datore di lavoro la differenza salariale, ma non per tutti è una strada facilmente percorribile» rileva invece Adriano Tonella, dell’Ufficio per la sorveglianza del mercato del lavoro.


Lavoro sporco e lavoro nero. Nel 2013 – informa ancora Tonella – sono pervenute al Cantone 978 segnalazioni: il 13% riguardava l’agricoltura e l’orticultura.


Una piaga che ha ripercussioni sui singoli (lavoratori ai quali non vengono pagati gli oneri sociali) e sull’intera collettività. Per questo motivo nel 2008 la Confederazione si è dotata di una legge federale in materia di lotta contro il lavoro nero per il quale si intendono «diverse forme di mancato rispetto degli obblighi di annuncio e di autorizzazione in relazione con il lavoro. In generale si tratta del diritto in materia di assicurazioni sociali, di stranieri e di fiscalità. Il lavoro nero produce innumerevoli effetti negativi quali: perdite di entrate da parte dello Stato e delle assicurazioni sociali, distorsioni della concorrenza tra le imprese e i lavoratori, pregiudizi al diritto alle prestazioni degli assicurati, dumping salariale e sfruttamento dei lavoratori»  come recita il sito della Seco.
In definitiva, gli effetti negativi del lavoro sporco, in tutte le sue accezioni, si ripercuotono sull’intera società.

Pubblicato il 

06.11.14
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