L’ufficio turistico polacco ha sfruttato con humour l’immagine: un idraulico polacco, giovane, bello e biondo, invita a visitare il paese: “Io resto in Polonia, venite numerosi”, dice con sguardo seducente. È questa la risposta spiritosa che la Polonia ha dato alla Francia, dopo la campagna per il referendum sulla Costituzione europea del 29 maggio scorso – che si è conclusa con la vittoria del “no” – durante la quale l’“idraulico polacco” era diventato il simbolo della minaccia rappresentata dai lavoratori dei nuovi paesi membri dell’est, che hanno salari più bassi, per i lavoratori francesi. Le statistiche europee provano che l’afflusso tanto temuto di lavoratori dei nuovi paesi membri in quelli della “vecchia Europa” non ha avuto luogo. Un’identica paura era stata sollevata ai tempi dell’allargamento a Spagna e Portogallo: grazie agli aiuti regionali, i salari dei due paesi iberici sono saliti in fretta, e non c’è stato nessuno tsunami di immigrati nei paesi più ricchi. Oggi, nell’Unione europea solo la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Svezia non mettono barriere all’entrata dei lavoratori dei dieci nuovi membri, che hanno potuto fin dall’adesione il 1. maggio 2004 beneficiare della libera circolazione dei cittadini. Non è invece il caso per gli altri paesi dell’Unione europea, che trattano ancora i lavoratori dei dieci nuovi membri dell’est e del sud (Polonia, Ungheria, i tre Baltici, Slovacchia, Slovenia, Repubblica ceca, Cipro e Malta) come degli extra-comunitari: sono obbligati a chiedere un permesso di lavoro, cosa che non è richiesta ai cittadini dei vecchi paesi dell’Ue. Questa limitazione, in vigore fino al maggio 2006, potrebbe essere prolungata di tre o cinque anni. Ma le cifre sull’immigrazione di lavoratori dei paesi dell’est nei tre paesi che hanno liberalizzato la circolazione smentiscono la minaccia di invasione: «il livello reale di libera circolazione tra vecchi e nuovi stati membri europei è al di sotto della soglia dell’1 per cento prevista in occasione dell’allargamento», constata l’Ecas, una ong europea che lotta per i diritti dei cittadini. «Anche in Gran Bretagna, dove il tasso di immigrazione è alto, i cittadini dei nuovi stati membri rappresentano solo lo 0,4 per cento della popolazione». Nondimeno, le autorità londinesi non avevano previsto il numero delle entrate: pensavano a 5-15mila persone, mentre 175mila persone hanno cercato lavoro in Gran Bretagna, in particolare dalla Polonia e dalla Lituania. 85mila richieste di ricevere la previdenza sociale sono state registrate in Irlanda. Il paese dove l’emigrazione è maggiore resta la Polonia (450mila in un anno), mentre il tasso più basso è quello della Slovenia, che assieme a Repubblica ceca e a Ungheria, è diventata a sua volta terra di immigrazione (per gli slovacchi, per esempio). La maggioranza degli immigrati sono dei lavoratori stagionali, che non hanno intenzione di risiedere definitivamente nel paese di emigrazione. Nell’Unione europea la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi – la famosa direttiva Bolkestein – è ancora in discussione, anche se il testo verrà modificato rispetto alla prima stesura, giudicata troppo liberista da molti paesi. Un compromesso potrebbe limitare il campo di applicazione della liberalizzazione, escludendo i servizi pubblici (sanità, trasporti urbani, scuola, audiovisivo, cultura) e inquadrare meglio il principio di libero insediamento per determinate professioni. Ma soprattutto dovrebbe essere rivisto completamente il tanto criticato “principio del paese d’origine” che nelle intenzioni di Bolkestein doveva permettere a un lavoratore di prestare un servizio in un altro paese dell’Ue alle condizioni di salario, tempo di lavoro, regolamentazione, del paese di provenienza. Un dumping sociale giudicato indecente nella vecchia Europa: di qui l’immagine dell’idraulico polacco che lavora venti ore al giorno per un salario da fame, in condizioni di protezione del lavoro minime. Episodi come quello di France Telecom, denunciato nel maggio 2005, che aveva dato in subappalto un lavoro a una società che aveva assunto lavoratori portoghesi, che lavoravano nel sud della Francia per un salario e con un orario di lavoro portoghesi (ben lontani dalle 35 ore francesi) sono repressi dalla legge. Il problema è che nell’Unione europea una liberalizzazione nel campo dei servizi ha già avuto luogo e ha avuto effetti devastanti: si tratta del trasporto su camion. Dal 2004 c’è la possibilità, per delle società straniere comunitarie, di fare trasporto locale nei paesi membri dell’Ue. Il braccio di ferro continua sulla regolamentazione: in Francia a giugno sono stati fermati tutti i camion di una società italiana che aveva assunto camionisti dell’est, che lavoravano 20 ore al giorno per un salario di 150 euro. Ma, di fatto, le grosse società tedesche e olandesi, che controllano delle “flotte” di camion, stanno conquistando il mercato europeo, con camionisti dell’est, a scapito dei padroncini francesi e italiani, che non ce la fanno a reggere la concorrenza. La paura di dover subire un’invasione di lavoratori disposti ad accettare bassi salari era stata sollevata nella campagna a favore del “no” alla Costituzione dal rappresentante della destra estrema Philippe de Villiers. È sua l’immagine dell’“idraulico polacco”, che avrebbe minacciato un milione di posti di lavoro in Francia nel settore dei servizi. L’espressione era stata poi ripresa da Fritz Bolkestein, l’ex commissario europeo “padre” della direttiva sui servizi che ha suscitato in Francia durante il referendum molte polemiche e che è tra le cause della vittoria del “no”. Nel vivo della polemica sull’idraulico polacco, Bolkestein (che è olandese, ma ha una casa in Francia) aveva affermato di aver difficoltà a trovare un idraulico e che la sua direttiva sulla liberalizzazione avrebbe invece permesso di trovarne uno. Il sindaco della cittadina dove Bolkestein ha la sua casa di vacanza aveva spedito all’ex commissario europeo la fotocopia delle pagine gialle con i recapiti di tutti gli idraulici della regione, mentre qualcuno si è preso la briga di contare gli idraulici polacchi che lavorano in Francia: non sono più di 120.

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09.09.05

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