Un ristorante parigino, vicino agli Champs-Elysées, nella primavera del 2014. La scena è filmata da una telecamera nascosta. Tre uomini discutono. Il primo è Bertrand G., impiegato di Gunvor, una delle principali società al mondo che opera nel commercio di prodotti petroliferi, con sede operativa a Ginevra. Al suo fianco, Oliver B., un intermediario dal passato oscuro. In faccia un uomo si presenta con il nome di André ed è il rappresentante di Denis Christel Sassou-Nguesso, detto “Kiki”, figlio del presidente della Repubblica del Congo. Tema della discussione: organizzare il pagamento di tangenti in cambio dell’ottenimento di nuovi contratti petroliferi. Oltre dieci anni dopo quell’incontro, Bertrand G. comparirà il prossimo 31 settembre davanti alla Corte penale del Tribunale penale federale (TPF). L’uomo è accusato dal Ministero pubblico della Confederazione (MPC) di corruzione d’agenti pubblici stranieri: si presume che abbia partecipato a pagamenti corruttivi a funzionari congolesi per un totale di oltre 35 milioni di dollari. Non una prima per Gunvor Non è la prima volta che a Bellinzona sbarcano le disavventure giudiziarie di Gunvor in Congo, uno dei paesi più corrotti del mondo. Nell’agosto del 2018, un ex impiegato della società, Pascal C., era stato condannato dal TPF a 18 mesi di prigione (sospesi) per aver partecipato alla corruzione di agenti pubblici congolesi e ivoriani. In quell’occasione era emerso che l’uomo non aveva agito da solo e che aveva operato in “un ambiente corrotto”. Nel 2019, la Procura federale ha poi condannato la stessa Gunvor a una multa di 4 milioni di franchi e a un risarcimento di 90 milioni: “Il rischio di corruzione era accettato da Gunvor ed era inerente all’attività commerciale dell’impresa” si legge nel decreto d’accusa. Oggi è il turno di Bertrand G., per anni responsabile dei finanziamenti della società. Era lui che da Ginevra gestiva tutti gli aspetti finanziari legati ai mercati del Congo-Brazzaville. Per questo, per l’accusa, “ha preso parte attivamente ai pagamenti corruttivi (…) rispettivamente al buon funzionamento e al buon sviluppo della loro esecuzione per un totale di 35,52 milioni di dollari”. L’obiettivo di queste mazzette era l’ottenimento, per conto di Gunvor, di lucrosi contratti petroliferi. Bertrand G. ha anche effettuato i calcoli dei profitti realizzati a seguito di queste tangenti “su domanda e all’attenzione della sua gerarchia”. L’atto di accusa firmato dal procuratore federale Gérard Sautebin rivela alcuni dettagli gustosi. In una e-mail, B.G. chiede di essere più cauto nel giustificare alcuni pagamenti, aggiungendo una faccina sorridente alla fine del messaggio. Per Pascal C. tale emoticon era «un segnale discreto che non si può scrivere la parola ‘corruzione’ in un’e-mail interna e che tutti sappiamo di cosa si tratta». Pascal C. ha anche spiegato che Bertrand G. aveva notato che due banche erano particolarmente permissive quando si trattava di pagamenti sospetti: Credit Agricole e Credit Suisse. Non a caso sono gli istituti utilizzati più spesso nell’ambito di questa vicenda. L’inchiesta penale nei confronti di Gunvor per le sue attività congolesi è scattata nel 2012. Bertrand G. ne era consapevole, avendo assistito alle perquisizioni. Ciononostante nel giugno 2014 avrebbe cercato di aprire nuovi canali in cerca di nuovi contratti per la società. È in questo contesto che si sarebbe svolto l’incontro presso il ristorante di Parigi. Durante gli interrogatori, Bertrand G. ha confermato che, durante questo incontro, aveva promesso al misterioso André che «Gunvor, o le società russe con cui [quest’ultima, ndr] era in contatto, erano disposte a pagare commissioni a Denis Christel Sassou-Nguesso per ottenere contratti per nuove spedizioni di greggio». Il dipendente della società ginevrina ha affermato di essersi recato a questo incontro «al posto del suo superiore José-Miguel O.». A processo chi gestiva i flussi finanziari, punito chi agiva sul campo, punita la società, puniti pure gli intermediari esterni che hanno riciclato i soldi: a uscire indenni da questa vicenda restano – come accade spesso – i livelli più alti della gerarchia societaria. |
Lo studio Public Eye analizza 20 casi emblematici delle cattive pratiche nel settore delle materie prime Sede di molte multinazionali che estraggono e commerciano risorse energetiche, metalli e prodotti agricoli in tutto il mondo, la Svizzera è regolarmente coinvolta in violazioni dei diritti umani, danni ambientali e corruzione. A livello nazionale e internazionale, si moltiplicano i procedimenti contro le aziende che operano nel settore delle materie prime, la maggior parte delle quali ha sede a Ginevra o a Zugo. Per fornire una panoramica, Public Eye ha documentato 20 casi emblematici, alcuni dei quali risalgono a diversi anni fa, mentre altri sono di grande attualità. Tra i casi analizzati c’è l’indagine del Serious Fraud Office britannico sulle attività della Glencore in Sud Sudan, dove valigie piene di contanti provenienti dalla cassa dell’azienda in Svizzera hanno aperto la strada ad affari molto lucrosi. Questo caso evidenzia per l’ONG «una serie di lacune legislative e l’inutilità delle misure volontarie adottate dalle aziende». Nel novembre 2022, un tribunale di Londra ha ordinato al gigante di Zugo di pagare quasi 281 milioni di sterline per aver pagato queste tangenti in Sud Sudan e in altri paesi. In Svizzera Glencore è invece stata da poco condannata dalla Procura federale per un grosso affare di corruzione nella Repubblica democratica del Congo. Tra i casi evocati, naturalmente, vi è anche quello di Gunvor in Congo-Brazzaville. Caso che era emerso alle cronache proprio grazie a Public Eye. Per l’ONG, tutti questi procedimenti, in parte ancora in corso, e le loro conseguenze non solo per i paesi produttori ma anche per la reputazione della Svizzera, sottolineano la necessità di istituire un’autorità di vigilanza specifica: «Il settore delle materie prime ad alto rischio, che è diventato la gallina dalle uova d’oro della Svizzera, continua a crescere di importanza geopolitica. È fondamentale che le aziende svizzere rispettino le leggi di tutte le giurisdizioni in cui operano». |