Fino alla primavera di quest’anno, il numero di associate a Unia fra le duecento operaie e operai della Riri di Mendrisio era pari a zero. Dentro lo stabilimento dove quattrocento braccia perlopiù italiane producono per 15 franchi e 90 centesimi l’ora le prestigiose cerniere “made in Switzerland” particolarmente apprezzate dai marchi del lusso, il sindacato non era mai potuto entrare all'interno della proprietà di Chequers Capital, società d’investimenti francese. A regolare i rapporti di lavoro, un contratto integrativo al Ccl del settore abbigliamento pattuito tra l’azienda e il sindacato d’ispirazione cristiana Ocst. Un contratto ad alta flessibilità, con 18 sabati lavorativi già previsti, ai quali si poteva facilmente derogare. Proprio davanti a quei cancelli, nascono i primi contatti tra funzionari di Unia e le maestranze della Riri. Si era allo scoppio della pandemia nella primavera del 2020, quando il sindacato aveva organizzato dei giri di volantinaggio davanti ai cancelli delle industrie ticinesi per informare lavoratrici e lavoratori dei loro diritti in materia di sicurezza e salute. Alcune dipendenti segnalano a voce delle problematiche sul posto di lavoro. Per risolverle, vorrebbero iscriversi a Unia, pensando che l’arrivo di un nuovo soggetto in fabbrica possa portare a dei cambiamenti. Il sindacato risponde no. «Abbiamo voluto esser sinceri con loro – racconta Vincenzo Cicero, responsabile industria Unia Ticino –. Non volevamo illuderle. Per ottenere dei cambiamenti significativi in tempi brevi, non basta qualche tessera sindacale in più di un altro sindacato. Il presupposto è una volontà collettiva delle lavoratrici di volerli raggiungere. Una volontà e una determinazione che possano produrre quei necessari rapporti di forza per modificare l’esistente». Passa il tempo e la pandemia pare ormai quasi scomparsa, ma non i problemi delle operaie Riri. Anzi, si sono acutizzati. Riallacciano quindi i contatti con Unia per segnalare il degrado delle condizioni di lavoro nella fabbrica. Ritmi di lavoro estenuanti e gravi problemi di conduzione del personale sono le problematiche principali. «Le operaie ci spiegano di essere abituate a dei picchi di lavoro stagionali, alternati a periodi più tranquilli. Ma nell’ultimo anno, quei picchi erano diventati la normalità. 45-48 ore la settimana, era ormai la regola». Ma quel che più indispettiva le operaie, era l’irrispettoso trattamento loro riservato da qualche dirigente. «Lavoravano a ritmi intensi e per di più venivano trattate in malo modo. Questo le faceva veramente infuriare». I sindacalisti intuiscono che vi siano i presupposti per cambiare i rapporti di forza all’interno della fabbrica. «Decidiamo di accettare la scommessa. Le operaie paiono talmente esasperate da volersi mettersi in gioco collettivamente. Non è una scelta che si prende a cuor leggero. Chi ha vissuto degli scioperi, sa che non sono delle allegre scampagnate» precisa Cicero.
La dirompente forza collettiva All’alba del 4 aprile, Unia si presenta in forze davanti ai cancelli della Riri, chiedendo alle lavoratrici del primo turno di riunirsi in assemblea per discutere dei gravi problemi emersi. «Se avessero accettato, l’assemblea si sarebbe potuta concludere con un semplice ritardo d’inizio lavoro oppure trasformarsi in uno sciopero vero e proprio. La decisione era in mano alle operaie» spiega il sindacalista. Davanti ai cancelli sale la tensione con l’arrivo della dirigenza e delle pattuglie di polizia, allertate dall’azienda. Otto operaie varcheranno quei cancelli per iniziare il turno, mentre un centinaio decide d’incrociare le braccia. Per stemperare la tensione, Unia sposta l’assemblea nella sala conferenze di un vicino albergo. La direzione accetta quasi subito di aprire le trattative, ma solo in presenza dell’altro sindacato, il loro partner contrattuale. «Già verso le undici abbiamo raggiunto con la dirigenza un possibile accordo in linea con le principali rivendicazioni poste dalle operaie» racconta Cicero. L’accordo verte sull’apertura di un tavolo tecnico tra azienda, sindacati e rappresentanza dei lavoratori per affrontare le problematiche sollevate dalla manodopera. Il secondo punto pattuito è dare mandato all’ispettorato del lavoro affinché verifichi le condizioni di lavoro. «Presentiamo al centinaio di operaie l’accordo raggiunto con la dirigenza e usciamo dalla sala affinché ne possano discutere liberamente. Quando rientriamo, ci informano di aver deciso di accettarlo, ma vogliono che anche le colleghe del secondo turno possano esprimersi». Allertate dalle colleghe, le cento operaie del secondo turno raggiungono l’assemblea. «Nella discussione, si sono osservate delle dinamiche interessanti. Tra queste, la solidarietà degli operai nei confronti delle colleghe. Queste ultime erano particolarmente infuriate per i maltrattamenti subiti da alcuni capi. “Noi non le viviamo direttamente, ma vediamo cosa subite. Siamo solidali perché sono comportamenti inaccettabili” affermavano i maschi nel corso dell’assemblea». I lavoratori dei due turni decidono di accettare l’accordo. Lo sciopero è concluso e il lavoro in fabbrica riprenderà nel giro di pochi minuti. I primi risultati Quanto stabilito nell’accordo, sarà rapidamente implementato. In settimana, l’ispettorato del lavoro aveva già preso i primi contatti col personale. «Il rapido intervento dell’autorità cantonale è stato un segnale importante per le maestranze. Sentivano che il loro sforzo non era stato vano, che la loro voce non sarebbe rimasta inascoltata» sottolinea Cicero, che riconosce anche l’apertura dimostrata dalla dirigenza aziendale al confronto. «Ai manager diamo il beneficio del dubbio che non sapessero realmente quanto avveniva in produzione, ricevendo forse informazioni parziali e filtrate. L’aver accettato fin da subito l’intervento di un ente esterno per verificare le condizioni di lavoro, è stato un gesto apprezzabile». Il rapporto finale dell’Ispettorato è atteso per la seconda metà di giugno. Nel frattempo, dei primi cambiamenti sono già avvenuti. «Una settantina di dipendenti, quasi un terzo del totale in produzione, sono passati da contratto a termine a indeterminato. Sono così stati sanati dei casi che duravano da anni, malgrado la legge imponga l’assunzione al terzo contratto a termine consecutivo. I manager hanno pure mantenuto la promessa di ripristinare entro fine aprile le otto ore di lavoro giornaliere. L’impressione è che ora dal management vi sia una disponibilità all’ascolto e alla ricerca di soluzioni concrete». Il sindacalista fa un esempio pratico, per capirsi. «Qualche settimana fa, ai magazzinieri erano stati aboliti i turni sostituiti dal lavoro a giornata. I turni erano stati introdotti durante la pandemia, per garantire il distanziamento fisico. Durante quella fase, gli operai si erano resi conto di come lavorassero in condizioni migliori avendo più spazio. Lo hanno fatto presente alla dirigenza. Una settimana dopo, i turni sono stati ripristinati». Valorizzare gli operai, ascoltarli e cercare di creare le condizioni affinché possano lavorare al meglio, dovrebbe essere la preoccupazione principale di un buon dirigente nel 2022. La filosofia della frusta, degli insulti gratuiti, dovrebbe esser relegata alla preistoria della gestione del personale. «Una predisposizione all’ascolto seguita da una volontà di apportare dei miglioramenti, non vuol dire che i manager debbano piegarsi a ogni istanza sindacale, ma siano in grado di entrare in materia e discuterle senza preclusioni ideologiche» chiarisce Cicero.
Il finale è ancora da scrivere In fabbrica ora vi è grande attesa sul responso delle analisi dell’ispettorato del lavoro. «Si vedrà se le impressioni raccolte in assemblea e dai racconti delle operaie troveranno riscontri nelle verifiche dell’autorità cantonale». La prima riunione del tavolo tecnico invece ha già avuto luogo. «È stata una riunione positiva, costruttiva nel definire le regole del gioco» commenta il sindacalista. In autunno poi, si apriranno le trattative sul rinnovo contrattuale. Unia vi parteciperà, forte della rappresentanza ora maggioritaria in azienda. Dei cambiamenti sul posto di lavoro sono possibili. Ci vuole determinazione e volontà collettiva delle maestranze nel mettersi in gioco. Non è facile, ma le operaie della Riri dimostrano che si possa fare. |