Lo sciopero dei signori

Parole che vanno, parole che vengono. Chi oggi si esprime nell’italiano imparato a scuola da bambino corre il rischio di non capire più la lingua dei giornali, imbottita di termini inglesi e di espressioni gergali della finanza. Colonialismo linguistico? Un nuovo latino inventato per escludere dall’informazione la gente comune? Alcune parole però scompaiono semplicemente perché non esiste più la cosa denominata o l’azione corrispondente.

 

Lo sciopero per esempio: da oltre cinquant’anni non avviene più in Svizzera uno sciopero tale da impensierire gli imprenditori, sostituito dai riti della democrazia diretta. La minaccia più grave che i socialisti lanciano ogni volta che il parlamento nazionale approva la privatizzazione di un servizio pubblico è “raccoglieremo le firme!” E i sindacati, quando una ditta rescinde il contratto collettivo o allunga l’orario di lavoro o fa fare straordinari non pagati: “informeremo l’opinione pubblica!”, come se la maggioranza dei cittadini di questo paese non fosse convinta che una diminuzione dei salari preserverebbe dall’inflazione il proprio conto in banca e farebbe arrivare da noi i ricchi investitori stranieri.


L’ultima richiesta di sgravi fiscali in Ticino, giunta questa volta non dalla Lega ma dal partito liberale, è stata depositata ufficialmente il 7 novembre scorso: a tappe, dal 2015 al 2018, verrebbero ridotte 1) dal 9% al 7,5% l’aliquota d’imposta sull’utile delle aziende, 2) dal 3,5‰ al 3‰ l’aliquota d’imposta sulle sostanze inferiori a 1,5 milioni e dal 3,5‰ al 2,5‰ quella sulle sostanze superiori a 1,5 milioni, 3) del 3% per tutti l’aliquota d’imposta sul reddito. Inoltre si procederebbe a correggere verso il basso le aliquote d’imposta sugli alti redditi (ad esempio dal 16% al 12,5% per i redditi oltre i 200.000 franchi). Come si vede, si tratta di aliquote degressive: «Ciò significa – spiegava Christoph Blocher lodando il sistema fiscale del Canton Obvaldo in una conferenza al Wirtschaftsclub svizzero-tedesco di Francoforte sul Meno il 22 maggio 2006 – che quanto più alto è il reddito, tanto più bassa risulta essere l’aliquota d’imposta». Un attacco al principio della progressività delle imposte, cardine finora del nostro sistema fiscale. Ricchi sfrontati.


Il diritto a godere pienamente la propria ricchezza ha padri illustri. Benjamin Constant affermava nel 1819 che la libertà delle democrazie antiche, a differenza di quella delle democrazie moderne, era limitativa dei diritti individuali, il principale dei quali sarebbe il diritto alla fruizione della ricchezza. E nello scontro tra “governo” e “ricchezza” deve vincere quest’ultima: «On échappe au pouvoir en le trompant; pour obtenir les faveurs de la richesse il faut la servir; celle-ci doit l’emporter» (da Luciano Canfora, Il mondo di Atene, Bari, 2011). E i membri della Reale Accademia svedese delle scienze, che assegnano i Premi Nobel fermamente convinti che il successo scientifico sia un merito individuale e di conseguenza sia normale arricchirsi sfruttando i brevetti.


È legittimo dunque, secondo i promotori degli sgravi fiscali, cercare di sottrarsi al patto sociale che pone la ricchezza al servizio della società. È legittimo difendere i propri interessi. Dovremmo ringraziare Rocco Cattaneo e i suoi amici del partito liberale, perché ci ricordano che la lotta di classe e lo sciopero sono sempre all’ordine del giorno.

Pubblicato il

21.11.2013 15:29
Giuseppe Dunghi