Situate tra la Scozia e l’Islanda le Faroe sono un arcipelago di 20 isole abitate da circa 54mila persone. Una terra lontana che non fa quasi mai notizia, tranne per qualche partita ufficiale di calcio che la nazionale svizzera ha giocato allo stadio Tórsvøllur. In questi giorni, però, le notizie in arrivo dal lontano Nord non sono di carattere sportivo. Da metà maggio, infatti, circa 5.000 dipendenti – quasi il 10% della popolazione totale – stanno scioperando dopo un appello dei sindacati che coprono i settori dei porti, dei trasporti, delle fabbriche di pesce, delle pulizie e della raccolta dei rifiuti. Si tratta di persone scarsamente retribuite, i cui redditi hanno risentito dell’inflazione “al punto da ritenere che sia diventato impossibile tirare avanti finanziariamente”, ha spiegato Susanna Olsen, docente di scienze sociali all’Università delle Fær Øer, intervistata dal quotidiano danese Jyllands-Posten. I sindacati chiedono aumenti salariali fra il 13 e il 15% per i loro membri, mentre i datori di lavoro offrono il 9%. Per ora, i negoziati per il rinnovo del contratto collettivo che copre i settori interessati sono falliti. La bozza di accordo è così lontana dalla richiesta minima dei sindacati che questi ultimi hanno deciso di respingerla immediatamente. Da qui questa insolita azione di sciopero: “È un braccio di ferro tra sindacati e datori di lavoro che non si vedeva da vent'anni” ha spiegato la professoressa Olsen. In un messaggio di solidarietà con i colleghi finlandesi, i sindacati dell’industria alimentare nordica, riuniti a Stavanger, in Norvegia, il 27 maggio hanno sottolineato che i lavoratori avevano limitato le loro richieste durante i precedenti negoziati, tenendo conto dell’impatto della pandemia Covid-19 e poi della guerra in Ucraina sull’economia e sulle aziende dell’arcipelago. Ma da allora l’inflazione –poco più dell’11% tra il 2022 e il 2023 – ha messo a dura prova il tenore di vita degli abitanti. “Il potere d’acquisto dei nostri iscritti è diminuito a tal punto che si trovano in situazioni estremamente difficili in diverse parti dell’isola”, ha spiegato Heri Reynheim, presidente del sindacato Havnar Arbeiðarafelag, che rappresenta i dipendenti dei settori dei trasporti e delle costruzioni, al canale DR. Giovedì 30 maggio le parti sociali si sono incontrate per un colloquio alla presenza di un mediatore. Ma senza successo. L’impatto della protesta si sta già facendo sentire. L’arcipelago, che dipende fortemente dalle importazioni, non è più rifornito, soprattutto di carburante. Da oltre una settimana, gli automobilisti non possono acquistare benzina o diesel. Gli autobus sono rimasti nei depositi e solo le ambulanze hanno accesso alle scorte di riserva. I negozi e i supermercati sono stati rapidamente svuotati dei beni di prima necessità dai clienti ansiosi di fare scorta: frutta, verdura, uova, farina e surgelati cominciano a scarseggiare. Toccato anche il settore del turismo con le navi da crociera che non attraccano più nel porto della capitale Torshavn. Secondo la professoressa Susanna Olsen è difficile prevedere l’esito dello sciopero, che potrebbe durare ancora per diverse settimane. Negli ultimi giorni la tensione si è inasprita e sono circolate notizie secondo cui alcune aziende, in particolare nel settore dell’edilizia pubblica, starebbero utilizzando dei “strejkebrydere”: i crumiri.
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