Lo scandalo non è il Wef

Da anni conosciamo le gravi storture nel commercio internazionale. Una crescente parte della popolazione in diversi paesi europei non è più d’accordo con i trucchi di parecchi paesi ricchi che mettono fuori gioco la concorrenza dei paesi poveri. Un esempio: il governo americano che spesso canta le lodi del libero commercio concede ai suoi produttori di cotone dei sussidi all’esportazione così alti che il cotone dei contadini dell’Africa occidentale non può reggere la concorrenza benché il costo di mano d’opera in quei paesi sia bassissima. Sono profondamente ingiusti quei sussidi che impediscono ai produttori del terzo modo di competere sul mercato mondiale anche per altri prodotti come lo zucchero. Questa prassi aberrante è il vero scandalo, e non tanto il Forum economico mondiale (Wef). In quest’ottica non capisco l’accanimento dei critici della globalizzazione contro il Wef che molti vorrebbero impedire, meglio ancora abolire. A Davos si riuniscono manager di punta, politici di alto rango e parecchi studiosi. Questo raduno informale di persone che si considerano un’élite a livello mondiale può senz’altro incidere sulla politica aziendale delle grandi multinazionali, ma anche sulle politiche economiche di molti paesi. Davos è quindi il luogo privilegiato per fare sentire le richieste per condizioni eque negli scambi internazionali. Esiste a Davos da alcuni anni il “Public eye” della Dichiarazione di Berna, che organizza conferenze e discussioni con personaggi importanti in vista di un approccio alla globalizzazione rispettoso dei paesi del terzo mondo. Inoltre si svolge accanto al Wef l’Open Forum con le sue discussioni controverse sull’argomento. Questi eventi dovrebbero provocare finalmente una vera apertura del Wef alla società civile. In occasione del Forum economico sarebbe tuttavia necessaria anche una grande manifestazione in favore di regole più giuste nel commercio mondiale. Purtroppo per il momento a Davos ciò non è possibile, poiché negli ultimi anni ogni manifestazione in concomitanza con il Wef a Zurigo, a Berna, a Winterhur o a Landquart è degenerata in atti violenti e di distruzione che non si possono scusare con il semplice riferimento al dispiego massiccio delle forze di polizia. Questi disordini hanno prodotto grande clamore nei media, ma distolto l’attenzione dai gravi problemi che crea la globalizzazione in molti paesi. Un grande lavoro d’informazione a Davos e in tutta la Svizzera è ancora da fare perché l’opinione pubblica e la Svizzera ufficiale diventino coscienti che si devono cambiare le regole per gli scambi economici a livello mondiale. Si deve assolutamente approfittare del lasso di tempo che rimane fino alla ripresa delle trattative su ulteriori liberalizzazioni nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio. E fra un anno si deve dunque ritornare a Davos con forza… di persuasione.

Pubblicato il

30.01.2004 14:30
Beat Allenbach
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