Come in un incubo, il peso di un marchio infamante si riaffaccia, puntuale, dal passato che con tanta forza si è cercato di cancellare. La società civile tedesca legge e rilegge i risultati elettorali ottenuti dai neonazisti della Npd e della Dvu alle elezioni regionali di domenica scorsa in Sassonia ed in Brandeburgo e si rifiuta di credere che, anche, questa è la Germania del 2004. Eppure è così e non è la prima volta nella Repubblica federale. Anche in passato, ciclicamente, dei partiti di estrema destra hanno superato la soglia di sbarramento in occasione di elezioni regionali. È successo alla fine degli anni ’60, allora era per protestare contro l’afflusso di manodopera straniera, ed è riaccaduto negli anni ’90, nell’euforia nazionalista seguita alla riunificazione. Questa volta il diffuso malcontento popolare, dovuto ai pesanti tagli allo stato sociale varati dal governo Schröder, ha spianato la strada alle due formazioni neonaziste. Specie nelle regioni orientali, le più povere, quelle in cui la disoccupazione supera in molti casi il 20 per cento e dove sono in tanti a vivere del solo sussidio di povertà o a vedersi costretti ad emigrare, la propaganda dei mestatori d’odio ha gioco facile. Il 9,2 per cento della Npd in Sassonia ed il 6,1 per cento della Dvu in Brandeburgo (partiti dalle sigle e dalle storie diverse ma dagli stessi deliranti contenuti) sono risultati che fanno male come schiaffi in pieno volto, specie perché li ha votati oltre il 20 per cento dei ragazzi tra i 18 ed i 25 anni. Chi ha premiato i neonazisti lo ha fatto, però, più per ignoranza e stupidità che per convinzione ideologica. Solo un ignorante, o uno stupido, può credere, infatti, che la povertà a Dresda e Potsdam, invece che ad errori politici vecchi e nuovi, sia dovuta alla presenza di troppi stranieri. I non tedeschi in tutti i Länder orientali, con la sola eccezione di Berlino, non superano mai percentuali da prefisso telefonico. Anche se di queste elezioni si parlerà ancora a lungo, e non solo in Germania, in realtà, negli equilibri di governo, le cose nei due Länder sono rimaste pressoché invariate. In Sassonia la Cdu del ministro-presidente Georg Milbradt è stata fortemente ridimensionata e, invece che da sola, come è stato negli ultimi 14 anni, dovrà governare in coabitazione con qualcuno. Forse coi liberali della Fdp, entrati per la prima volta nel Landtag sassone. Da parte sua la Spd ha infilato l’ennesimo risultato catastrofico, fermandosi ad un misero 9,6 per cento. A Dresda, insomma, la continuità politica sembra assicurata. Stessa musica in Brandeburgo, dove, nonostante il significativo calo di consensi, il leader socialdemocratico locale, Matthias Platzeck (uno dei pochi nel partito contrario alla deriva neoliberista di Schröder e Clement), prolungherà, con ogni probabilità, per altri quattro anni l’attuale grande coalizione con una Cdu in netto calo… A meno che, per fare dispetto al grande capo, Platzeck non rompa coi democristiani e decida di governare in coabitazione con la Pds, come già accade a Berlino ed in Meclemburgo-Pomerania Occidentale Da parte sua la Pds, radicatissima ad Est quanto assente ad Ovest, è risultata essere la seconda forza sia in Sassonia (24 per cento) che in Brandeburgo (28 per cento). I postcomunisti hanno aumentato ovunque i loro consensi, grazie alla loro netta opposizione contro l’Hartz IV, il pacchetto di riforme sociali varate dal governo rosso-verde. È la Pds, infatti, che ha dato il via, assieme ad ampi settori del sindacato e ad Attac, alle manifestazioni che ogni lunedì riempiono le piazze delle grandi città dell’Est tedesco per protestare contro l’attacco al welfare. Per questo governo, opposizione, mondo economico e grandi giornali li hanno attaccati quotidianamente, accusandoli di essere settari e populisti. E intanto, a destra, i demagoghi di professione preparavano in tutta tranquillità il loro grande rientro. Il clamore suscitato dai risultati delle elezioni regionali in Sassonia e Brandeburgo ha improvvisamente riacceso la preoccupazione dell’opinione pubblica tedesca per l’immagine del proprio Paese all’estero e l’interesse dei mass media di mezzo mondo per l’estremismo di destra in Germania. Di sicuro non si tratta di un fenomeno omogeneo, ma di una galassia composita in cui coesistono gruppi di picchiatori nazisti, editori ultrareazionari e rockband antisemite. Un coacervo di estremisti, spesso in aperta competizione tra loro, ma accomunati dal nazionalismo esasperato, dall’anticomunismo isterico, dall’odio per gli stranieri ed i diversi in genere e dall’immancabile antisemitismo. Diverse sono state le formazioni di estrema destra nella storia della Repubblica federale che hanno tentato di calamitare coi loro slogan demagogici il malcontento e lo spirito revanscista diffuso in ampi settori della popolazione, ma solo tre di esse hanno ottenuto risultati apprezzabili: la Npd, la Dvu e i Republikaner. La soglia elettorale di sbarramento del 5 per cento ha finora impedito a questi partiti di entrare nel Bundestag, ma non è riuscita ad evitare diversi loro successi a livello regionale, ultimi quelli di domenica scorsa nei due Länder orientali. Npd (Nationaldemokratische Partei Deutschland) Fondata nel 1964 su iniziativa di Ernst Reich, già presidente dell’associazione degli studenti nazisti, tra il 1966 ed il 1969 la Npd entra in ben sette assemblee regionali e nello stesso 1969 sfiora di un soffio l’ingresso nel parlamento federale. Da quel momento, e per oltre 20 anni, il partito perde progressivamente proseliti e rischia di scomparire del tutto. Dopo la riunificazione nuove leve di naziskin, reclutati soprattutto tra i giovani senza prospettive dei Länder orientali, tornano a infoltire le fila della Npd. Nel 2002, su iniziativa del ministro federale degli interni Otto Schily, e con l’accordo di tutti i gruppi parlamentari, viene avviato un procedimento per la sua messa al bando. Nonostante l’Ufficio federale per la difesa della Costituzione avesse catalogato da tempo la Npd come «formazione paramilitare di estrema pericolosità», nel 2003 la Corte costituzionale decide di archiviare la richiesta di scioglimento per un vizio formale. La vittoria di domenica scorsa in Sassonia è, purtroppo, storia nota. Dvu (Deutsche Volksunion) La Deutsche Volksunion è una creatura di Gerhard Frey, editore milionario, che nel 1971 dà vita al partito per protestare contro la ratifica dei trattati di pace con l’Urss e la Polonia da parte della Germania. Da allora Frey ha sempre guidato la formazione in modo autoritario, servendosi dei dipendenti della sue case editrici come quadri di partito. Frey ama coltivare amicizie politiche: da Le Pen, a David Duke (ex leader del Ku Klux Klan), al fascista russo Schirinowski. Grazie a campagne elettorali milionarie, la Dvu ha riscosso notevoli successi a livello regionale, sia a Est che a Ovest. Unico elemento positivo: la tendenza dei suoi eletti ad abbandonare il partito una volta che lo stipendio di parlamentari li rende indipendenti dal loro padrone. Republikaner I Republikaner, nati nel 1983 da una scissione a destra dei cristianosociali bavaresi di Strauss, tengono molto alla loro immagine di “destra buona”. A differenza della Npd e della Dvu, i Republikaner, pur propagandando grosso modo le stesse parole d’ordine, rifiutano la violenza. Per anni la loro roccaforte è stata il Baden-Württemberg, ma, da quando nel 2001 non sono riusciti a farsi rieleggere nel Landtag di Stoccarda, la loro stella ha cominciato a tramontare.

Pubblicato il 

24.09.04

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