Si infiltra nei dispositivi mobili attraverso attacchi “zero-click”. È lo spyware Graphite di Paragon, ideato dagli israeliani che di spionaggio se ne intendono; infetta il dispositivo della vittima prescelta, telefonino che sia o computer e copia tutto, registra telefonate, messaggi, attività social, fotografa, geolocalizza, il tutto senza che il “target” se ne accorga. I gestori fanno affari d’oro attraverso contratti con gli Stati e le agenzie governative e controllano l’uso corretto del dispositivo: se viene utilizzato per operazioni illecite, per spiare proditoriamente singoli o associazioni, possono interrompere l’accesso al servizio. E così, quando grazie a una segnalazione fatta da Facebook a sette vittime degli spioni di Stato, si è venuto a sapere che lo staff della ONG Mediterranea Saving Humans, che salva migranti in difficoltà, era finito sotto controllo, così come il direttore di fanpage Francesco Cancellato reo di inchieste sgradite al governo Meloni, la società israeliana ha rescisso il contratto con il governo italiano. E Luca Casarini, cofondatore e capomissione della ONG, ha dovuto ringraziare nientemeno che Zuckerberg, padrone di Meta e Facebook, per la spiata grazie alla quale ha potuto denunciare l’intrusione governativa nella sua vita e nella sua attività di attivista. È legittimo il sospetto del segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni: “La sera prima che a Luca Casarini fosse resa nota un’attività di intercettazione io ero a cena da lui insieme ad altri parlamentari. Mi hanno osservato, mi hanno spiato?”. Il gioco delle intercettazioni è una catena di Sant’Antonio, si sa da chi si parte e non si sa a chi si arriva. E si sa anche che finiscono nella pattumiera le libertà individuali e collettive, i diritti, le azioni di solidarietà, la libertà di stampa, insomma la democrazia. Il governo tace, si rifiuta di rispondere alle richieste di spiegazioni avanzate dalle opposizioni, dalle associazioni, oltre che naturalmente dalle sette vittime degli spioni di Stato. Giorgia Meloni è troppo impegnata a barcamenarsi fra Trump e Von der Leyen per rispondere e, come al solito, manda avanti i suoi ministri scendiletto, i quali a loro volta mandano avanti il sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega ai Servizi segreti, Alfredo Mantovano (la spia che venne dal freddo fascismo italico), il quale a sua volta si rifiuta di dire quale struttura statale abbia spiato attivisti e giornalisti e perché: materiale “classificato”, dunque secretato. Perciò all’inizio i ministri si rifiutano di rispondere alle interrogazioni di PD e Italia Viva, al massimo riferiranno al Copasir dove i parlamentari che ne fanno parte sono tenuti a mantenere il segreto. Non sono stati gli 007, si limitano a biascicare e il ministro dei rapporti con il Parlamento Luca Ciriani addirittura esclude che il governo abbia usato impropriamente lo spyware, nega persino che l’azienda israeliana abbia sospeso il servizio. Bugie, solo bugie. Nordio sostiene che la polizia penitenziaria ha le mani pulite (metafora paradossale), non si sa se Paragon sia stato usato dalle procure. Insomma, nulla si sa, nulla si può dire e poi, ci sarà una ragione se i Servizi si chiamano segreti. Persino Renzi è costretto ad alzare la voce contro il governo: “Io non so se ci rendiamo conto, il question time si fa solo se il governo gradisce le domande. Siamo oltre il delirio istituzionale”. Alla fine, a rendere ridicola una vicenda decisamente torbida ci pensa il ministro della giustizia Nordio che invece risponde alle interrogazioni, ma solo per dire: “Posso assicurare che nessun contratto è mai stato stipulato con nessuna società privata. Le intercettazioni si fanno solo su autorizzazione dell’autorità giudiziaria”, e aggiunge che nessuna persona è stata intercettata “da strutture del suo ministero o dalla Penitenziaria”. Non resta che controllare le spese di tutte le procure italiane per scoprire quale di esse abbia autorizzato (e soprattutto a chi) l’intercettazione dei sette “mariuoli”. Mettiamo in fila gli ultimi eventi per capire il succo del problema che si nasconde dietro le tecnicalità e i segreti di stato, e il succo è che il governo Meloni vuole legare mani e piedi a chi scopre i suoi altarini, a partire dalla libera stampa, e a chi tenta di salvare i migranti abbandonati dall’Italia e dall’Europa tra i marosi o nelle mani dei torturatori libici. E mentre si lasciano affogare uomini donne e bambini alla ricerca di un approdo verso la vita si liberano gli assassini, violentatori e stupratori di migranti su mandato e con soldi e mezzi messi a disposizione dalle sedicenti democrazie europee. È il caso del generale libico Almasri, inseguito da un mandato di cattura emesso dalla Corte internazionale dei diritti umani, arrestato (per sbaglio) e subito rimesso in libertà e accompagnato a Tripoli con un aereo dei Servizi. Poi gli stessi Servizi denunciano il procuratore di Roma Lo Voi, colpevole di aver inviato al Tribunale dei ministri un fascicolo riguardante l’apertura di un procedimento contro Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano in relazione alla liberazione di Almasri, in sostanza è la richiesta di autorizzazione a procedere contro il gotha del governo. Non è una toga rossa, Lo Voi, semmai segnato da un passato nelle organizzazioni giovanili della destra. Né sono toghe rosse i magistrati che si sono permessi di ordinare il rientro in Italia dei richiedenti asilo deportati in Albania che Meloni avrebbe voluto rimpatriare nei paesi da cui erano fuggiti che però, secondo la Corte europea dei diritti umani, non sono paesi sicuri, come l’Egitto e il Bangladesh. Anche secondo i genitori di Giulio Regeni, rapito torturato e ucciso dai Servizi egiziani, quel paese non è propriamente sicuro e i diritti umani non sono esattamente garantiti. Sulla pelle dei migranti si fanno le fortune delle destre di tutto il mondo, dall’Italia alla Germania, agli Stati Uniti. E le sinistre, per evitare le disfatte, si accodano e scimmiottano l’uso e l’abuso delle paure alla ricerca di consensi elettorali. Il fatto è che le paure, indotte prima che reali, spingono popoli sempre più ridotti a plebe a scegliere l’originale, non le fotocopie. |