Liliane Maury Pasquier presidente del Consiglio Nazionale

Il 26 novembre prossimo, la socialista ginevrina Liliane Maury Pasquier salirà sullo scranno più alto del Consiglio nazionale in sostituzione dell’avvocato di Zugo Peter Hess. Liliane afferma di aver sempre fatto politica. Nell’ambito di un gruppo parrocchiale d’animazione per anziani, del Wwf o del suo Comune per chiedere marciapiedi più larghi e sicuri, Liliane si è sempre adoperata per fare cambiare le cose. Avrebbe potuto limitarsi a un lavoro associativo, ma temendo di essere rinchiusa in una problematica settoriale, ha preferito integrare la sua azione in una visione più ampia, in un quadro politico, quello del partito socialista di cui fa parte dall’inizio degli anni Ottanta. Dopo le scuole a Ginevra, un matrimonio precoce: «Pensavo che avremmo avuto tanti figli e che me ne sarei occupata». La nascita della prima figlia la confronta, assieme al marito, «ad un quotidiano diverso da quello che ci aspettavamo». La coppia decide di organizzarsi in modo da dividere le responsabilità familiari, per poter sia l’uno che l’altro sviluppare la propria attività professionale. La formazione come segretaria, unita all’interesse per la difesa dei più deboli, le permette di entrare a fare parte del «Collectif de défense» nel quale lavorerà per molti anni, incontrando così Christiane Brunner. Nel 1985, Liliane decide di cambiare orientamento e inizia una formazione di levatrice. La sua scelta è motivata dal desiderio di un’attività che sia al tempo stesso autonoma e ricca di contatti umani. Madre di quattro figli, parla con cognizione di causa quando afferma che «dare la vita è già cambiare un po’ le cose». Questa scelta professionale è forse una metafora che prefigura la sua carriera politica: pazienza, tenacia e sostegno a chi ne ha bisogno. È in questa ottica che partecipa alla creazione di «l’Arcade des femmes», luogo d’accompagnamento per donne incinta. La carica parlamentare non le ha impedito di continuare a lavorare in questa struttura, benché abbia deciso di concedersi ora una pausa per consacrarsi alla presidenza. Eletta nel consiglio comunale di Veyrier, comune dell’agglomerato ginevrino, nel 1983, passa nel 1993 allo scalino superiore (quello del Parlamento cantonale), poi rapidamente a Berna (1995). Come spieghi questa veloce ascesa? Non ho mai pianificato la mia carriera. Ho lasciato il legislativo di Veyrier perché, con la mia famiglia, abbiamo cambiato domicilio. Ho avuto la fortuna di essere eletta in Gran consiglio subito dopo. Pensavo di rimanerci molto più a lungo ma, nel 1995, il partito socialista cercava candidate per la sua lista di donne per il Consiglio nazionale. Era richiesta esperienza politica: le potenziali candidate non erano numerose, perciò ho accettato di presentarmi. Non avrei mai immaginato di poter essere eletta. Grazie alla presenza di Christiane Brunner sulla lista abbiamo ottenuto due seggi. Per quattro anni ho fatto équipe con Maria Roth-Bernasconi (visto che C. Brunner sedeva al Consiglio degli Stati) in uno spirito di complementarità e di sostegno reciproco. Eravamo chiamate le gemelle, appellativo un po’ peggiorativo in un mondo dove domina l’ambizione personale. La presidenza dopo soli 6 anni: una consacrazione o un regalo avvelenato? Si tratta di un felice concorso di circostanze. La presidenza non è mai stata occupata da una donna proveniente dalla parte latina della Svizzera. Inoltre sono stata l’unica donna socialista romanda ad essere rieletta nel 1999. Ho dunque dovuto decidere se volevo questa carica. Il santo valeva la candela? La posta in gioco consiste nel dare un’immagine diversa del presidente del Consiglio nazionale. La controparte è però quella di aver meno libertà, per un anno, nel prendere posizioni drastiche. Avevo voglia di dimostrare che si può essere eletta presidente pur essendo tre volte minoritaria: donna, romanda e socialista. Anche una madre di famiglia può assumere questo ruolo. Se posso essere eletta io, tutti lo possono essere! Non si rischia di banalizzare quest’impegno? Non penso. Voglio dimostrare che nessuno è a priori escluso dalle responsabilità politiche. La mia vicina è altrettanto abilitata a diventare parlamentare e difendere un’opinione valida quanto un avvocato o il rappresentante di un’associazione economica. Certo i dossiers sono complessi e ci sono temi sui quali mi sento meno a mio agio. Ma il lavoro all’interno di un gruppo parlamentare viene distribuito a seconda delle competenze; disponiamo comunque di un’amministrazione sulla quale possiamo appoggiarci. L’intelligenza riveste forme diverse e nessun diploma la garantisce. Sono comunque convinta che il lavoro politico sarebbe più accessibile a tutti se ci fossero delle condizioni materiali migliore. Non penso a una professionalizzazione del Parlamento, che allontanerebbe il politico dai problemi della gente comune, ma ad esempio a un tempo parziale, un passo in più verso un miglioramento del lavoro delle Camere. Qual è il margine di manovra di cui dispone un presidente del Consiglio nazionale? Sul piano politico questo margine è effettivamente ridotto. Non potrò più andare in prima linea con delle proposte minoritarie; questo non significa però che dirò il contrario di quello che penso: rimarrò sempre una donna di sinistra. Ci si aspetta da me però un certo ritegno. Si può prendere posizione ufficialmente solo quando il proprio parere concorda con quello della maggioranza e questa limitazione sarà sicuramente spesso frustrante. Bisogna però sfruttare al massimo questa tribuna eccezionale anche per fare sentire la voce delle minoranze. Potrò affermare la mia differenza rispetto ai miei predecessori, che, come noto, difendono dei punti di vista ben diversi dai miei. D’altronde il presidente partecipa alla preparazione dell’ordine del giorno delle sedute. Se fossi già presidente insisterei per accelerare il dibattito sul problema dei «sans papiers». Trovo scandaloso che la problematica venga rimandata lasciando nella più intollerabile attesa gente che merita tutto il nostro rispetto. Qual è la sua posizione di fronte al femminismo? Sono femminista. Penso che sia importante riportare il discorso politico su certe problematiche che sono state oggetto di lotte femministe: l’aborto, l’assicurazione maternità, la lotta contro l’innalzamento dell’età della pensione. Ho purtroppo l’impressione che il femminismo non sia più una priorità. Bisognerebbe che gli uomini diventassero femministi per reintrodurre il femminismo come paradigma politico. L’uguaglianza è a beneficio di tutti: degli uomini che hanno la possibilità di aprirsi a mondi dai quali sono abitualmente esclusi, ed alla società poiché favorisce la realizzazione dei potenziali di ognuno. Dobbiamo però riconoscere che ora le donne sono stanche di dover conciliare famiglia e lavoro e faticare il doppio per farsi riconoscere. Tendono quindi ad essere troppo logorate dalle occupazioni private per cercare cariche pubbliche. Mai come oggi è stato così difficile trovare delle donne disposte ad ingaggiarsi. Siamo poco numerose in politica, eppure la nostra presenza è data per scontata. Ma la situazione per noi non è cambiata. Esiste una lobby femminile, un visione trasversale delle donne a Berna? Un gruppo parlamentare delle donne esiste, ma questo luogo di parola non è abbastanza utilizzato. Sei anni fa, le donne borghesi le frequentavano regolarmente; adesso la loro partecipazione tende a diminuire. Ho l’impressione che le donne si sono integrate ai partiti. Ad eccezione di qualche parlamentare, le donne borghesi hanno la tendenza a rappresentare il loro partito piuttosto che tendere ad una visione femminile. C’è un modo femminile di fare politica? Mi piacerebbe affermarlo, anche se a volte non ne sono poi così sicura. Si può dire che se, sul piano del contenuto, le donne non si distinguono dalla posizione del loro partito, nel loro modo di fare politica danno prova di una qualità d’ascolto e manifestano un rispetto dell’opinione altrui che è meno frequente presso i nostri colleghi maschi. È più piacevole fare politica con le donne, ma purtroppo la collaborazione generalmente non va oltre. Quale sarà il suo contributo durante quest’anno di presidenza? Rappresento delle idee minoritarie; vorrei però promuovere l’immagine di una Svizzera più aperta, meno timorosa. La votazione sulla partecipazione all’Onu potrebbe permettere agli Svizzeri di accettare il fatto che fanno parte del mondo.

Pubblicato il

23.11.2001 03:00
Claire Fischer