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Libertà religiosa da barattere?
di
Martino Dotta
È inutile scandalizzarsi di fronte alle crescenti derive commerciali della nostra società occidentale: le regole del gioco sono arcinote e gli “spiriti illuminati” contemporanei ci ricordano che quanti non le rispettano, hanno inequivocabilmente torto. Perché mai metterle in discussione? La libertà di consumo è un diritto acquisito e da estendere il più possibile, ripetono instancabili i dirigenti di partiti politici ed aziende (statali e no). Ed i nostri governanti se ne guardano bene dal contestare tale corrente di pensiero; sarebbe politicamente scorretto, indice di un’insana ingerenza statale nell’ambito privato. La realtà parla contro i mentori del commercio totale, ma per quale ragione preoccuparsene? Il mondo contemporaneo si vuole opulento, eppure continua a produrre nuove forme di povertà, a livello locale come planetario. Il problema è che la maggioranza della popolazione né se ne rende conto, né sa darsi spiegazione di un fenomeno in rapida espansione. Ci penserà allora l’apertura liberalizzata dei negozi a risolvere qualsiasi problema di ridistribuzione del denaro circolante e dei beni di consumo? C’è chi continua a proclamarlo, invece di esortare produttori, intermediari e consumatori al senso della misura davanti alle tendenze orgiastiche del commercio. Intanto, nemmeno il Canton Ticino o la Confederazione elvetica sono (ormai più) preservati dalla strana logica, per cui l’aumento della ricchezza complessiva comporta un sempre maggiore divario tra cittadini abbienti e quanti faticano a chiudere i conti mensili senza eccessive perdite. Lo mostrano i dati statistici nazionali, di recente pubblicazione, sui salari percepiti in Svizzera o la tavola rotonda organizzata sabato 19 novembre a Lugano dal Sos-Ticino. La statistica, si sa, è una scienza che può subire, come tutte le conoscenze umane, apprezzamenti assai diversi, e non sfugge talvolta alle letture ideologiche. Aumenta la ricchezza complessiva mondiale, ma non tutti se ne accorgono, poiché sono in pochi a “produrla” (sui mercati dei capitali) e ancora in meno a controllarla (in gergo economico si dice “gestire”, vero?). Da tempo, il potere politico ha abdicato al suo ruolo di promuovere la giustizia sociale e l’equo accesso alle risorse e ai beni. Oltre a ciò, tutto è diventato mercanzia da vendere e comprare, nel limite del possibile con sconti straordinari; oggetti, servizi e valori possono finire sulla piazza del mercato globalizzato al miglior prezzo: anzi, sentimenti ed emozioni sono già patrimoni ambiti e preziosi. Anche l’amministrazione della solidarietà è entrata, a pieno titolo, nel medesimo girone della lotta per accaparrarsi la “parte migliore” di una fetta di mercato sempre più ambita. E stando alla recente visita di George W. Bush in Cina, perfino la libertà religiosa ed i diritti umani possono essere paragonati a “merce di scambio”. Sarà una coincidenza che la risposta cinese all’appello statunitense di apertura sociale e politica sia stata la firma di un contratto per l’acquisto di settanta Boeing 737?
Pubblicato il
25.11.05
Edizione cartacea
Anno VIII numero 47
Rubrica
Non solo Dio
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