"Libertà d'espressione sempre più in pericolo”

“Il diritto al dissenso non può essere ingabbiato!”. Così risponde l’Alleanza anti-Wef svizzera all’offerta del Municipio di Berna di concedere l’autorizzazione alla manifestazione contro il Forum economico di Davos (Wef), prevista per domani, sabato 22, solo a patto che la protesta si svolga entro il perimetro di Piazza Federale. Una condizione-capestro, «un diktat che mira all’escalation della tensione», afferma l’Alleanza che coordina le azioni anti-Wef. Ma la protesta ci sarà, eccome, annunciano i no-global. Azioni di disobbedienza si terranno infatti in tutta la città dalle 13 alle 16 di domani con il Forum mondiale di Davos, in programma dal 26 al 30 gennaio. Intanto la restrizione di Berna ha già fatto salire il termometro della tensione proprio quando le pacifiche manifestazioni anti-Wef di Coira, Winterthur e Delémont lasciavano invece ben sperare per quella di domani. Di certo non aiuterà a distendere il clima il dispiegamento del più «grosso dispositivo di polizia che la città abbia mai visto», come ha annunciato lo stesso capo della polizia bernese Daniel Blumer. Dal canto suo l’Alleanza anti-Wef chiama a raccolta il popolo dei no-global invitandoli a recarsi nella capitale per esprimere il proprio dissenso con «nuove forme di protesta fantasiose e creative». Un invito già fatto proprio dal Coordinamento anti-Wef ticinese che ieri sera ha organizzato a Lugano (in piazza Molino Nuovo) un “corteo funebre commemorativo in memoria della defunta libertà d’espressione”. Ed in questo clima, alla vigilia della grande protesta anti-Wef di domani, abbiamo sentito Christian Marazzi, economista e docente Supsi, nonché figura di spicco del popolo dei no-global, che di recente ha firmato, insieme ad altre personalità pubbliche, una lettera indirizzata alla Confederazione per ribadire il diritto a manifestare il proprio dissenso, così come sancito dalla costituzione (articolo 16). Christian Marazzi, cosa pensa della limitazione di Berna alla manifestazione anti-Wef? Trovo che sia una misura goffa, oltre che una violazione al diritto di espressione. Così come reputo l’annunciato enorme dispiegamento di polizia una provocazione. Un quadro, questo, che lascia presagire all’orizzonte proprio ciò che si vorrebbe scongiurare: scontri. Non c’è niente di peggio – come l’esperienza delle grandi manifestazioni anti-globalizzazione insegnano – di un’atteggiamento di chiusura per alimentare la tensione. Credo che sarebbe stato molto più saggio da parte del Municipio di Berna adottare un’atteggiamento più aperto e tollerante. È vero che il diritto a manifestare è sancito dalla costituzione ma con i problemi che ci sono stati in passato, per le azioni degli incappucciati (o black block), non crede che limitazioni come quella di Berna siano giustificate? Mi sembra vero il contrario. Si sa che all’interno del movimento dei movimenti ci sono delle frange agguerrite e militanti ma sono pur sempre una minoranza all’interno di un popolo che ha fatto della non violenza e del pacifismo una sua ragion d’essere. Ebbene, decisioni come quella di Berna rischiano di attivare queste minoranze che in un contesto di tensione e di scontro acquisiscono più “legittimità” rispetto alla maggioranza che spinge sulla strada della tolleranza e della non violenza. Insomma, è un po’ come voler soffiare sul fuoco. Prima parlavo di mossa goffa ma ho il sospetto che invece sia premeditata. Quando si pensa al G8 di Genova si sa che il governo italiano ha fatto di tutto per creare un clima di scontro, come poi è successo. Questo mi porta a dire che: o non si vuole imparare dall’esperienza o si è degli stolti. Cosa l’ha spinta a firmare l’appello al Consiglio federale affinché venga rispettato il diritto manifestare? Mi ha spinto il fatto che mi sento sempre più, sia idealmente che politicamente – con tutti i problemi che questo può comportare –, parte del movimento dei movimenti fin dalla sua nascita. Ne condivido le rivendicazioni e quando posso fare qualcosa per appoggiarlo lo faccio. Oggi è prioritario difendere il diritto ad esprimere liberamente il proprio dissenso che vedo sempre più minacciato. Vi sono segnali inquietanti che indicano come la libertà d’espressione sia braccata a più livelli. Penso al taglio di sussidi a Pro Helvetia a causa di una mostra-manifestazione di dissenso dell’artista Thomas Hirschhorn. Questa censura dà la misura del processo di chiusura, d’irrigidimento in atto verso tutto ciò che è pensiero critico o messa in discussione. Non vorrei fare di tutte le erbe un fascio ma credo che anche la stessa soppressione delle cattedre d’italianistica sia una negazione delle minoranze. Ebbene, la decisione di Berna, s’inserisce in un preoccupante quadro complessivo e rappresenta ancora un atto d’intolleranza. Questa democrazia dimostra di non sopportare l’essenza stessa della democrazia, che è la tolleranza e quindi, in quanto tale, si sta autonegando. La Confederazione ha messo in atto un apparato, mai visto prima, di protezione poliziesca e militare (5'500 militari) per il Wef di Davos. Più che un sistema di protezione contro eventuali atti terroristici, c’è chi vede in questo dispiegamento di forza così vasto, un mostrare i muscoli per intimidire il dissenso. Cosa ne pensa? Cosa vuole, siamo in una fase della globalizzazione caratterizzata dalla guerra infinita che non è altro che il programma dell’Impero americano. Ed è in questo sfondo di teatro di guerra che ormai occorre ripensare tutti i temi della globalizzazione. Con l’Afghanistan prima, l’Iraq attualmente e forse in futuro l’Iran si sta dispiegando sempre più chiaramente la natura bellica di questa economia globale. Non ci si sorprenda allora se a Davos, come nei prossimi G8, c’è una “scenografia” bellica: oggigiorno guerra ed economia fanno un tutt’uno. Il movimento dei movimenti è cresciuto sull’istanza della pace, di una globalizzazione più giusta e più equa ma si ritrova a confrontarsi con uno scenario che non è più quello di un tempo ma uno scenario bellico dove si spinge l’acceleratore verso la strategia della tensione, è un correlato di quest’economia di guerra.

Pubblicato il

21.01.2005 02:00
Maria Pirisi
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