Liberiamoci dalla schiavitù impostaci dagli Stati Uniti

Già due secoli fa Tocqueville, dopo aver percorso per nove mesi gli Stati Uniti, sosteneva che gli americani hanno un’altissima opinione di sé stessi e si credono eletti dalla Provvidenza. Dopo il 1917 gli Stati Uniti incarnano la garanzia della stabilità occidentale. Hanno salvato l’Europa dal militarismo prussiano, dal nazismo e dal fascismo, dal comunismo, hanno messo fine alla guerra nella ex-Yugoslavia. Hanno quindi ottenuto credito senza limiti. Guai a parlar male dell’America. Persino dell’istrionico e volgare Trump. Dire che oggi siamo soggiogati culturalmente, economicamente e, quindi, politicamente dagli Stati Uniti, qualunque amministrazione vi accampi, è una constatazione. Tanto da trovarci in prima serata sui teleschermi come modello la più stupida e avulsa famiglia americana. Da imporci il dollaro e tutta una sequela di dogmi e comportamenti economici, finanziari, manageriali, esportati assieme alle crisi. Da farci legittimare la loro funzione di gendarme del mondo, spesso con pretesti inventati, provocando poi quelle emigrazioni di massa che con il lievito dei populismi imperanti stanno diventando alimento di nuovi nazionalismi europei.


Quanto sia stata condizionata e soggiogata la Svizzera dagli Stati Uniti potrebbero dirlo i lunghi anni di andirivieni tra Berna e Washington per tentare di sottrarsi ai duri ricatti, comporre le miliardarie condanne bancarie o le imposizioni di embarghi, imperialmente imposti.


Un documento ufficiale americano appena apparso permette di percorrere a ritroso questo discorso. L’arroganza culturale-economica, platealmente accettata e mimata da nostri politici, banchieri, finanzieri, manager con l’alzabandiera del neoliberismo e dei grandi affari, rimane. Ma, proprio là da dove parte, genera sconquassi sociali e di civiltà che dovrebbero indurci a interrogarci su quei modelli che i nostri padroni del vapore tentano di assecondare, distruggendo quel poco di nostro (o di cultura europea) che siamo riusciti a preservare.
La sessantina di pagine del “Report on the Economic Well-Being of U.S in 2017”, rapporto sul benessere economico negli Usa, edito dalla Federal Reserve (maggio 2018), quindi dalla Banca centrale americana, può essere cosa impegnativa, ma è istruttiva. Non possiamo permetterci di riassumerlo nelle poche righe dell’articolo. Poche indicazioni bastano a dirci dove conducono certe alchimie economiche, che sono poi quelle che rovinano europei e svizzeri.


Il 40 per cento degli adulti americani non riesce a far fronte ad una spesa straordinaria (emergency expense) di 400 dollari. Devono ricorrere all’indebitamento ormai sistematico. È un indice di massima vulnerabilità economica e sociale. Un quinto di chi lavora non riesce a coprire i conti di un mese. Anche perché tre adulti su dieci si trovano in quella che viene definita l’incertezza della “gig economy” (o quel modello di economia in cui non esistono più le prestazioni lavorative continuative – posto fisso, contratto a tempo indeterminato – ma si lavora solo su richiesta). Più di un quarto degli adulti è nell’assoluta impossibilità di ricorrere alle cure mediche. Più della metà di coloro che, al di sotto dei trent’anni, segue studi superiori deve indebitarsi e si trascina quel debito anche per un decennio. Non è forse un caso se emerge quella che viene definita con allarme “opioid epidemic” (epidemia da oppiacei), più diffusa tra i bianchi (25 per cento) che tra i neri (12) o gli ispanici (15).
Pochi dati per dire che il modello americano, come cultura, come ideologia e pratica, dovrebbe interessarci solo per evitarlo. Anche a costo di qualche ricatto economico.

Pubblicato il

30.05.2018 11:21
Silvano Toppi
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