Immaginate un paese che vuole controllare la sessualità delle donne al punto di vietare l’interruzione di gravidanza in ogni circostanza, e dove per un aborto spontaneo si rischiano fino a 50 anni di carcere. Sembra un incubo. Ma è la realtà del Salvador. In questo paese centroamericano la legge sull’aborto è una delle più restrittive al mondo. Il divieto si applica anche nei casi in cui la vita della madre è in pericolo. Alcune donne sono quindi confrontate con la “scelta” di finire in carcere se decidono di interrompere la gravidanza o di morire se non la interrompono. A causa del divieto assoluto, sono molto frequenti gli aborti clandestini effettuati con metodi molto pericolosi per la salute. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’11% delle donne che hanno subito un aborto clandestino in Salvador sono morte. Si rischia il carcere anche per un aborto spontaneo. È successo a Maria Teresa Rivera, che sta scontando una condanna di 40 anni. Questa donna ignorava di essere incinta fino a quando ebbe un malore nella fabbrica di abbigliamento dove lavorava. Trasportata d’urgenza in ospedale, fu poi denunciata alla polizia dal personale medico. Nel luglio 2012 è stata processata e condannata per omicidio aggravato. Amnesty International ha raccolto la testimonianza di un medico che voleva interrompere la gravidanza di una bambina di dieci anni, incinta per aver subito uno stupro. «Lei non capiva che cosa stava succedendo. Ci ha chiesto delle matite colorate, ci ha spezzato il cuore». La bambina è stata costretta a portare a termine la gravidanza. Nell’ambito della campagna “My Body My Rights”, Amnesty International chiede al governo salvadoregno di depenalizzare l’aborto in tutte le circostanze. Le autorità del Salvador devono garantire la possibilità di abortire in modo sicuro e legale, almeno per le donne e le ragazze la cui gravidanza mette in pericolo la vita o la salute, nei casi in cui la gravidanza è il risultato di uno stupro o quando il feto presenta malformazioni tali da pregiudicarne la vita. I diritti sessuali delle donne non sono ancora garantiti nel mondo. Oggi il 40% delle donne in età fertile vive in paesi in cui l’aborto è vietato, limitato o inaccessibile. I passi indietro non sono per nulla rari, come evidenziano le leggi restrittive approvate in alcuni paesi del Centro America, sostenute da ambienti conservatori e dalla Chiesa cattolica. Fortunatamente, la società civile si è mobilitata e se ne vedono i risultati: grazie a grandi manifestazioni, il governo spagnolo ha appena ritirato la proposta di legge che avrebbe ridotto in modo significativo l’accesso all’aborto. Un passo nella giusta direzione per il diritto delle donne ad avere il controllo sul proprio corpo.
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