Libération nella morsa liberista

Per il momento, i giornalisti del quotidiano Libération hanno rinunciato a rispondere con uno sciopero al "piano sociale", cioè alla ristrutturazione, imposta dal principale azionista, Edouard de Rothschild e dal nuovo direttore-amministratore delegato, Laurent Joffrin. Ma anche se hanno ritirato la minaccia di sciopero per questa settimana, i sindacati promettono "nuove forme di azione" se la direzione non ascolterà la loro principale richiesta: nessun licenziamento imposto, ma solo "dimissioni volontarie" per arrivare a realizzare il pesante piano di ristrutturazione, che prevede 76 soppressioni di posti di lavoro su 280 dipendenti.

La crisi di Libération dura da anni –  calo progressivo delle vendite, oggi intorno alle 80mila, deficit di gestione, che quest'anno toccherà i 12 milioni di euro – ma nell'ultimo anno è precipitata. Un anno fa, c'è stato il più lungo sciopero nella storia del quotidiano fondato nel '73 dal filosofo Jean-Paul Sartre e da Serge July: 4 giorni di protesta a fine novembre contro un primo progetto di ristrutturazione, che prevedeva 56 soppressioni di posti di lavoro. Lo sciopero non ha avuto nessun risultato, perché la redazione e i servizi tecnici sono stati ridimensionati come previsto. Ma questa prima ristrutturazione non è stata sufficiente. Serge July, che aveva conservato la carica di presidente della società, si era opposto a ulteriori tagli voluti da Rothschild. A giugno, è stato costretto a lasciare il giornale. Un avvenimento particolarmente traumatico in un quotidiano che si è identificato lungo tutta la sua storia con la figura di uno dei fondatori, che dal movimento del maggio '68 ha guidato la trasformazione del giornale che, pur mantenendo posizioni di sinistra, si è via via aperto alla pubblicità (le prime inserzioni appaiono nell'82), ha fatto entrare dei finanziatori nel capitale (i primi azionisti esterni arrivano nel '93), fino alla decisione di accettare Edouard de Rotshschild come azionista di maggioranza (38,8 per cento del capitale) a fianco della partecipazione della Società dei dipendenti (18 per cento) nel 2005. Nelle ultime settimane, c'è stata una precipitazione degli avvenimenti: Laurent Joffrin, che già era stato direttore della redazione di Libération (dal '96 al '99), ha lasciato la direzione del Nouvel Observateur per proporsi come presidente del quotidiano in crisi, ricoperto, in via transitoria, dal giornalista Vittorio De Filippi, in rappresentanza della Società dei dipendenti. Joffrin è presentato come "gradito" a Edouard de Rothschild, al contrario dell'ex direttore della redazione di Le Monde, Edwy Plenel, a cui la Società dei dipendenti aveva chiesto a fine estate di elaborare un progetto redazionale, da opporre a quello dell'azionista principale, che prevedeva almeno 100 licenziamenti e un drastico ridimensionamento del quotidiano su carta. Joffrin, inoltre, a fine novembre, ha voluto sostituire Antoine de Gaudemar nella carica di direttore della redazione, cumulando "in via temporanea" le due funzioni – direttore e presidente – che nella tradizione di Libération erano sempre state separate. La redazione, che conserva per il momento un diritto di veto sulle grandi decisioni del giornale – prerogativa che la nuova direzione vorrebbe rimettere in discussione – ha accettato, con le spalle al muro. Del resto, anche la venuta di Rothschild era stata approvata con un voto nel 2005, perché anche allora sembrava che non ci fossero altre via d'uscita per salvare il quotidiano.
Anche i politici, in particolare i socialisti, hanno espresso inquietudine per i rischi che corre Libération. La sua scomparsa dall'edicola significherebbe che non esiste più in Francia un quotidiano del mattino sensibile alle posizioni della sinistra. Un fatto particolarmente grave in un anno elettorale (in primavera ci sono le presidenziali, seguite dalla legislative). C'è stata una petizione a favore di Libé firmata da personaggi dello spettacolo e della cultura. Ma la mobilitazione è rimasta limitata alle élites. Difatti, la Società dei lettori, cioè un appello all'azionariato popolare lanciato ad ottobre, non ha avuto molto successo, come se ormai in Francia si fosse consumato il divario tra i lettori e i quotidiani a pagamento. La stampa gratuita e Internet (dove le notizie sono anch'esse gratis) stanno poco per volta soffocando la stampa tradizionale: Libération è l'anello più debole, perché non ha dietro le spalle un grande gruppo finanziario, ma ne soffrono anche giornali come Le Monde, che ha tra i suoi azionisti Lagardère (aeronautica) e Le Figaro (di proprietà di Dassault, armamenti). Métro e 20Minutes, giornali gratuiti distribuiti nelle grandi città, sono ormai tra le testate più diffuse del paese. Neppure la grande campagna realizzata da Libération nel 2005, per la liberazione della giornalista Florence Aubenas rapita in Iraq, è servita a far aumentare le vendite, malgrado la forte mobilitazione del paese.
Oggi Joffrin promette alla redazione di continuare a fare "un giornale di qualità". Ci sono progetti per rilanciare il sito Web, che è del resto uno dei più visitati, per costruire un'informazione multimedia. Martedì, Joffrin, nel primo editoriale firmato come direttore, ha fatto un riferimento polemico all'episodio che viene considerato come la causa del "divorzio" tra Libération e i lettori di sinistra : il 30 aprile del 2005, all'indomani della vittoria  del "no" al referendum sulla Costituzione europea, Serge July aveva puntato il dito contro l'"epidemia di populismo". Martedì, Joffrin ha scritto che quel "no" persiste, e che «qualunque sia stato il voto al referendum, avremmo un immenso torto a trascurare –  e evidentemente a disprezzare –  questa parte della popolazione».

Pubblicato il

08.12.2006 03:30
Anna Maria Merlo