Lezioni dal cantiere

La scorsa settimana, le maestranze di due imprese edili ticinesi hanno scioperato nell'arco di pochi giorni. Esaurita la pazienza dell'attesa di una paga che non arrivava malgrado facessero le nove ore di cantiere quotidiane, lavoratori e sindacalisti di Unia sono andati negli uffici delle rispettive imprese a chiedere il dovuto. Poche ore dopo, la felice conclusione: gli stipendi arretrati sono stati versati e i cantieri hanno ripreso l'attività. Detta così, sembra facile. Ma non lo è.
Sono due gli ingredienti necessari per ottenere un buon cocktail di questo tipo. Il primo, dei lavoratori determinati nel rivendicare i loro diritti e disposti ad usare lo strumento dello sciopero. Il secondo: una struttura sindacale combattiva a supporto dell'azione.
In Ticino, la combinazione dei due ingredienti ha permesso di sbloccare due situazioni di cui raccontiamo a pagina 8. Due storie  che esprimono molte cose. La prima: il mito del paese della pace sociale dove lo sciopero è impensabile si va sempre più incrinando. Ormai da alcuni anni lo sciopero è sempre più ritenuto, e utilizzato, come un mezzo legittimo per rivendicare i propri diritti. Certo, la disperazione vissuta da lavoratori senza paga è diversa da chi viene licenziato e otterrà gli ammortizzatori sociali che gli permetteranno di sopravvivere. Almeno nel medio termine. Una persona, magari con famiglia a carico, a cui viene a mancare il salario mensile, vive invece delle difficoltà oggettive importanti. Ed è disposto a mettersi in gioco, scioperando.
Il secondo insegnamento è da inserire nel contesto della crisi economica attuale. Le ditte dove si è scioperato vivono difficoltà economiche. E i lavoratori, privati del regolare stipendio, ne pagavano le conseguenze maggiori. La loro reazione, lo sciopero, ha permesso di trovare una via di uscita e i soldi sono riapparsi.
In Svizzera, anche oggi, si continua a produrre molta ricchezza. Il problema è la sua ridistribuzione. Basterebbe citare un dato: i due terzi della fortuna in Svizzera appartengono al 3 per cento della popolazione. Anche le enormi diseguaglianze tra i profitti degli azionisti (o le retribuzioni dei manager) e i salari dei dipendenti sono le espressioni più evidenti del problema.  
Imprese che hanno annunciato profitti record anno dopo anno, oggi dicono di non avere più soldi e di essere dunque costrette a licenziare. Parrebbe dunque ovvio accettare questo stato di cose come un fatto ineluttabile, rassegnandosi a far capo a quel che resta degli ammortizzatori sociali. I muratori delle due imprese invece non hanno accettato questa spiegazione. Non si sono limitati a incrociare le braccia e picchettare i cantieri, ma sono andati, sostenuti dai sindacalisti, negli uffici delle imprese a rivendicare quanto gli spetta da chi di dovere. Questa è la vera novità e, forse, l'insegnamento più prezioso.  

Pubblicato il

23.10.2009 00:30
Francesco Bonsaver