Lettere «innocenti»

Che cosa sia l’innocenza dei bambini è un tema su cui psicologia e pedagogia hanno speso pagine e pagine di riflessioni. Certo è che, se l’argomento è complesso, ancora di più lo è in un contesto storico e geografico dove i bambini sono quotidianamente confrontanti, soprattutto per mezzo della televisione, con le immagini della guerra e la presenza del nemico. È il caso, nella fattispecie, dei fanciulli del mondo arabo. Che appena padroni di un minimo di comprendonio si ritrovano sottoposti al proliferare di notizie e filmati che provengono dal conflitto arabo-israeliano. La lettera che qui presentiamo (e non abbiamo ovviamente la pretesa di darne una traduzione integrale) è stata redatta da un dodicenne cairota, Mohammad Soleiman, durante la fase calda della seconda Intifada palestinese. Quando Arafat si trovava assediato nel suo quartier generale di Ramallah e l’esercito d’occupazione israeliano rastrellava i territori dell’Autonomia in cerca di «terroristi» o di sedicenti kamikaze. La voce di un dodicenne Mohammad è un musulmano. Un dato che sarebbe di secondaria importanza se nella semplificata cognizione del bambino il sentimento identitario non passasse proprio, automaticamente e banalmente, attraverso la religione. Ovvero se egli non fosse stato indotto da cattivi maestri e da genitori dottrinari a ridurre il conflitto israelo-palestinese a uno scontro fra monoteismi o ancora peggio «fra civiltà» (come suggeriscono in troppi) o ancora peggio fra depositari della giusta fede e quanti tale fede avrebbero profanato o avuto il torto di misconoscere: gli ebrei e, in seconda battuta, i cristiani. Cioè di una guerra fra il dar al islam (la casa dell’Islam) e il dar al harb (la casa della guerra). «Genti del Libro», gli ebrei, ma con il supremo torto di aver occupato e usurpato la possessione dei luoghi santi ritenuti di incontestabile appartenenza musulmana. L’appello ad Allah e il ripetuto ricordo dei molti martirii di donne e bambini palestinesi innocenti fa infatti il paio (in questa lettera così poco infantile) con un appello ancora più grave: quello al paladino della resistenza anti-crociata, Salah Ed-Din, che in italiano chiamiamo generalmente Saladino: esortato oggi a vendicare, agli occhi fantasiosi del bambino, l’occupazione sionista come un tempo si era erto a difensore di Gerusalemme contro le legioni cristiane d’Occidente. I pericoli del manicheismo Questo atteggiamento manicheista e sbrigativamente «ortodosso» in un bimbo di dodici anni, suscita da queste parti un moto di simpatia o addirittura di condiscendente ammirazione. Ma per chi vi scrive – e probabilmente per molti fra coloro che leggeranno queste righe – tale disinvolto militantismo è da ritenersi di una gravità estrema. Non fosse che per il semplice fatto che si tratta del prodotto di una mente «innocente», ancora incapace di operare i debiti distinguo fra i diversi valori storici, politici, religiosi e sociali dominanti nella regione, costretta suo malgrado a non esserlo più. Gravità che vorremmo qui sottolineare non già per stigmatizzare eventuali responsabilità del bambino – che naturalmente non ne ha alcuna, e che certo non può essere imputato se non del fatto di essere stato oltraggiato nella propria «innocenza» – ma per quanto concerne gli adulti: l’educazione, gli insegnamenti, gli indottrinamenti a base propagandistica della società dei grandi. In una parola, il mondo responsabile e l’informazione mediatica di cui esso si serve, per trasmetterne principi e dogmi difficilmente selezionabili da un fanciullo. Società e media che – diciamolo chiaramente – ai bambini dovrebbero avere prima il compito di insegnare i principî della tolleranza e della comprensione, piuttosto che quelli del disprezzo e del fanatismo: e se possibile – anche in un contesto di guerra – prima lo spirito della fratellanza e dell’amicizia che quello dell’odio. O quanto meno (considerate le serie difficoltà emotive di prendere una sufficiente distanza nel frangente attuale da parte dei grandi dalla propria militanza) preoccuparsi di anteporre all’esortazione ideologica lo studio della storia: la nascita e gli sviluppi del sionismo, l’Olocausto, la creazione di Israele, le diverse fasi cruciali del ’48, ’67, ’73, ’82, e la prima e seconda Intifada. Il Buono e il Cattivo Ci troviamo invece di fronte a una situazione così diffusa e uniformemente accettata nel suo semplicismo che sembra impossibile possano darsi alternative. Ed ecco così una povera creatura «innocente» decidere senza riflessioni ulteriori chi è il Buono e chi il Cattivo, chi l’Eroe Giusto e chi il Nemico Colpevole, chi la Vittima e chi il Carnefice. Chi insomma colui che deve meritare il suo amore e chi invece colui che, con la stessa semplicità e la stessa noncuranza tranciante, deve meritare il suo odio. Questo manicheismo senza nuances, che ha tutto il diritto e la necessità di esistere all’interno dell’astrazione fiabesca, avrebbe ovviamente ogni legittimità ad essere assunto da un bambino qualora non si trattasse che di un’etica generale. Vale a dire quando l’identificazione del Male (con figure leggendarie quali l’Orco o il Mostro o il Lupo Cattivo) non concernerebbe la storia ma solo principî assoluti, validi come riferimenti per un orientamento morale generico, appunto, e non come pretesti per la difesa di un orientamento ideologico. Ma quando questo manicheismo viene a sancire una dicotomia così violenta fra arabi e israeliani – o ancora peggio fra orientali e occidentali – si rischia davvero di minare sul nascere non solo l’«innocenza» ma anche l’elasticità stessa di uno sguardo sul mondo. Che un bambino dovrebbe mantenere al contrario desta almeno fino a quando – come i suoi padri e le sue madri – non sia anch’egli direttamente coinvolto nei conflitti in questione. Parlare troppo presto, prendendosi la libertà di giudicare la logica di questi conflitti, è probabilmente la garanzia migliore, infatti, affinché il famigerato dialogo per la pace si allontani sempre di più dalla possibilità di una effettiva realizzazione e di un eventuale successo, e sempre più si presenti come il suo opposto: come la ritrosia e la riluttanza a ogni compromesso e tolleranza. Compremettendo, generazione dopo generazione, le già esigue speranze conservatesi fin qui. La lettera che qui abbiamo citato è pregna di riferimenti morali, religiosi e persino «politici» di questo genere. Si parte da una generale invocazione ad Allah (quale si ritrova in tutti i documenti ufficiali e semi-ufficiali del mondo musulmano: «Nel nome di Dio il Clemente e il Misericordioso», «Non v’è altro dio all’infuori di Dio») per arrivare ad affermazioni che rasentano l’orazione o il sermone politico. Si parla del sangue delle donne palestinesi, della loro immortalità, di una loro fantasiosa quanto romantica resurezione, del loro sacrificio per il popolo. Ma non solo (questi sono accenni che provengono dalla reiterata visione televisiva dell’eroismo dei kamikaze e dei lanciatori di pietre). Si parla anche di Sharon come del «nemico di Allah»; si parla della corruzione del mondo musulmano da parte dei costumi depravati degli ebrei e degli occidentali, qui riuniti in un solo fascio; si invoca il ritorno di Saladino per ripulire il Medioriente dall’occupazione «straniera». E non si esita a citare il ’48 – a dodici anni! – come la data fatidica di ogni maledizione per il popolo di Allah! Insomma, se è giusto difendere i più deboli e sostenere la coraggiosa resistenza palestinese è anche doveroso, noi crediamo, consacrare un po’ del nostro buon senso a non perdere di vista valori che precedono la storia e i conflitti che l’attraversano. Ricordandoci che fra questi vi è l’innocenza dei bambini e che questa è un tesoro da preservare e da difendere. Prima, durante e dopo la difesa dei palestinesi! Se si sarà costretti a metterla tra virgolette, questa «innocenza», corriamo davvero il rischio di dover mettere tra virgolette anche la parola «dialogo», «comprensione», «tolleranza» e «pace»: e i bambini innocenti di oggi a vederli inesorabilmente trasformati nei nemici sicuri di domani.

Pubblicato il

28.06.2002 04:30
Marco Alloni